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"Exit Through the Gift Shop", il film di Banksy su street art... e road to glory

NAPOLI, 9 AGOSTO 2012 - Alla fine degli anni Novanta, Thierry Guetta gestiva un negozio di vestiario vintage a Los Angeles, pur essendo francese di origine. Nel 2009, ha creato la copertina dell’album Celebration di Madonna. In mezzo? Una bislacca ma fortunosa ascesa artistica, partita da una vorace passione per la videocamera ed approdata all’esordio col botto del 2008, nella città degli angeli, con la mostra Life is beautiful. La racconta uno dei massimi esponenti dell’arte contemporanea, il misterioso street artist britannico Banksy, in Exit Through the Gift Shop, che lo stesso “regista” – dietro la macchina da presa per la prima e forse ultima volta – definisce in apertura “un documentario su un uomo che voleva fare un documentario su di me”. Faceto, e tecnicamente corretto; ma non solo: a venirne fuori è una icastica inchiesta sul sistema dell’arte contemporanea e, contestualmente, sugli sviluppi della street art, dalla creatività più selvaggia al primo, seduttivo fruscio dei mazzi di banconote di gallerie e collezionisti.

La prospettiva della prima parte è singolare: Thierry, signor nessuno, filma ogni sorta di cosa che gli passi sotto gli occhi e si muova. Perché la vita è breve, e può finire da un momento all’altro, senza lasciare tracce: come quando gli morì, improvvisamente, la madre, ancora bambino. Eppure, lo spettatore resta dubitoso nel labirinto dei possibili filoni d’inchiesta del documentario, a causa di un abile gioco di maschere: Banksy compare incappucciato, al buio, solo in una breve sequenza d’apertura, mentre Thierry sembra svolgere il percorso di ricerca, piuttosto che esserne il protagonista. Dalla fortuita conoscenza del cugino francese – lo street artist Space Invader, che riempiva le strade di Parigi di mosaici raffiguranti le figure squadrate del videogame –, Thierry muove alla conquista visiva delle strade, aggregandosi alle incursioni, spesso pericolose, di artisti come Shepard Fairey (autore del famoso ritratto bicromatico della campagna elettorale di Obama). Resta un cruccio: l’inavvicinabilità del noto, ed ignoto, Banksy. Finché non è proprio quest’ultimo a farsi vivo. [MORE]

Exit Through the Gift Shop
, presentato nel 20120 con una campagna virale come "The World's First Street Art Disaster Movie", è un prodotto singolare, difficilmente ripetibile. L’impronta di Banksy non risiede tanto in un quella genialità scoperta, plateale, declamatoria che lo vede impegnato nelle opere di strada; quanto nel gusto per il travestimento, nell’ironia paradossale con cui l’artista mascherato si mette in combutta col cameraman compulsivo, nella capacità mimetica con cui lo spazio di una vita, quella di Thierry, si confonde con lo spazio dell’arte, proprio come nei graffiti dello street artist britannico. La trasformazione di Guetta in Mr. Brainwash, da common man ad hero, è così repentina e spiazzante che lo stesso film pare assecondare la gemmazione imprevista del mito popolare: trascorrendo, sorprendentemente, da un percorso interno alla street art, al focus biografico su Thierry ed alla svolta della sua carriera. Per pura, indovinata giustapposizione: quello di Mr. Brainwash non è infatti profilato come un tirocinio artistico, bensì quale afflato improvviso assecondato con fortuna. E nemmeno così genuino, visto che nasce dietro suggerimento di Banksy.

Così, la perplessità degli street artists su Thierry, la nevrosi degli spaesati allestitori della sua prima mostra, la spavalderia un po’ cialtronesca con cui l’artista (?) prospetta il senso di un lavoro di rimasticazione visiva – l’ennesima – di icone pop (Elvis, Marilyn e co.) che lo stesso Bansky definisce ormai “meaningless”, gettano non poche ombre su di un cappellaio matto, curioso ed onnivoro – questo sì – ma bravo per lo più nell’estrarre il coniglio dal cilindro. Di contro alla sovraesposizione mediatica di Mr. Brainwash, sottilmente, Banksy resta il sacro custode del segreto genuinamente artistico: è il profeta, che suggerisce a Thierry – pentendosene? – d’intraprendere la carriera artistica; è il problem solver, quando il maldestro debuttante, con una gamba rotta durante l’allestimento, sembra nel panico, sul punto di mollare tutto; è, infine, l’artista-regista, in pieno controllo dei propri mezzi e delle proprie istanze, fino a fare della vita di un uomo un’opera d’arte sul degrado dell’arte stessa. E mentre Mr. Brainwash dichiara candidamente di limitarsi a suggerire un’idea sommaria alla propria factory di esecutori, Banksy padroneggia e gestisce il materiale visivo come in un divertito assemblage, preferendo, all’inutile appariscenza della scena, l’ennesima strategica scomparsa. Quasi reclamando, nella circolarità del prologo\epilogo, il proprio oscuro territorio, che ancora vorrebbe essere estraneo al circuito invasivo delle gallerie: Tonight the streets are ours, canta Richard Hawley.