Interviste
Eravamo felici, intervista alla professoressa Tiziana Iaquinta
Catanzaro, 27 maggio - Tiziana si era tinta i capelli di un colore più chiaro, Giuseppe si rivolse a Caterina e disse:' Caterina, corri in cucina vai a vedere, qualcuno ha sostituito la mamma'. E rideva Giuseppe, rideva forte. Erano felici, ma poi...
'Eravamo felici' è un dono della professoressa Tiziana Iaquinta, insegnante di Pedagogia Generale e Sociale all'Università Magna Graecia di Catanzaro. Un dono perché parte da un testo narrativo autobiografico, da un'esperienza drammatica realmente vissuta da lei e sua figlia Caterina, all'epoca bambina di otto anni e ora adolescente, per mettere in evidenza che 'i pensieri e le domande non trovano ostacoli nel nascere e germinare nella mente dei bambini e che essi non sono piccoli e immuni alle cose grandi e dolorose della vita, pertanto è indispensabile che genitori ed educatori utilizzino parole con senso educativo, delicate, attente e adeguate all'età al fine di preparare e sostenere il bambino ad una eventuale esperienza di dolore e sofferenza, prima, perché, nel momento in cui l'evento si determina, le parole perdono di incisività, non riescono ad essere di conforto '. In particolare il dolore dei bambini di fronte alla morte è questione molto delicata e complessa, anche perché, come sostiene il professore Raffaele Mantegazza, l'Epoca Occidentale ha educato a tutto tranne che alla morte. A tutt'oggi, però, l'educazione familiare e scolastica rimane estranea a questo processo di cura.
Coniugando la sua esperienza diretta e la sua attività di ricerca relativa alla Pedagogia del dolore, produce un testo intriso di umanità e amore, ricco di spunti di riflessione che hanno lo scopo di sensibilizzare genitori, insegnanti ed educatori. Di particolare importanza per loro può essere, quindi, l'appendice al racconto, 'Aver cura di chi resta, pensieri e parole a margine'. Un brevissimo saggio che, partendo dal presupposto che 'ignorare le domande dei bambini, i pensieri, i sentimenti, le difficoltà, significa demandare al caso la crescita armonica di generazioni di futuri uomini e donne', spiega quanto la Pedagogia del dolore può essere d'aiuto attraverso un esercizio di consapevolezza degli aspetti più difficili e complessi dell'esistenza umana, avendo cura del soggetto nella sua complessità e totalità, divenendo sia prevenzione, creazione delle migliori condizioni di vita, che cura, azione educativa ante e post evento.
Nel 2010 con un libro straordinario, oggi anche opera teatrale di successo, 'Ciao Caterina', la professoressa interpretò il messaggio di amore ma, soprattutto, educativo che Giuseppe avrebbe voluto donare alla propria adorata figlia mentre si trovava sulla soglia, pochi attimi prima di 'essere stato'. Otto anni dopo, quell'evento drammatico e devastante la professoressa ce lo racconta attraverso le parole e i pensieri , gli accadimenti e gli stati d'animo di Caterina.
Saverio Fontana ha incontrato la professoressa Tiziana Iaquinta per i lettori di infooggi.it.
Professoressa, come nasce l'idea di donare l'esperienza dolorosa della sua famiglia a scopo educativo?
Come è stata improvvisa la morte così è stato casuale il desiderio di scriverne. Successivamente mi sono accorta che una trattazione specifica sul dolore in Italia non c'era, ho pensato, quindi, che poteva essere importante dal punto di vista scientifico. E' stato un pensiero del dopo, quindi, e non del prima.
'Ciao Caterina' è nato per consentire a Giuseppe di donare a Caterina quello che non avrebbe potuto più donarle, i suoi pensieri, quello che era e quello che avrebbe voluto diventare. Perché è nato, invece, 'Eravamo felici'?
'Eravamo felici' è nato per consapevolizzare gli adulti delle domande che nascono nella mente dei bambini. Essi sono più grandi e maturi per la loro età rispetto a quello che noi riteniamo. Gli adulti sono abituati a trascurare quanta potenzialità e capacità di analisi ci sia nei bambini. Le domande che Caterina fa in questo libro sono domande vere. Far parlare Caterina ha il senso di consapevolizzare gli adulti sul fatto che di morte, come degli altri aspetti difficili della vita, sebbene in modi adeguati all'età, si deve parlare.
Lei cita il professore Raffaele Mantegazza che afferma che 'L'Epoca Occidentale ha educato a tutto tranne che alla morte'. Perché è necessario educare i bambini alla morte?
Educare alla morte è l'ultimo tabù rimasto, perché parlare di sesso è stato ampiamente sdoganato. Educarli significa consapevolizzarli che siamo nati per morire, senza demonizzare, senza far paura. Quando la morte sopraggiunge chi rimane si trova a dover gestire l'assenza. Rispetto ad essa ci sono due strade, la disperazione più totale e quindi la fine di ogni capacità di progetto, oppure avere la speranza che essa può essere una risorsa per scoprire in noi forze che non avevamo e farci continuare il nostro progetto di vita. Se non li educhiamo alla speranza, oltre quel momento non riusciranno ad andare. Parlarne con competenza pedagogica, accortezza educativa e abilità didattica è importante, oltre che necessario, per liberarla da quell'alone di insuperabilità che la circonda.
Famiglia e scuola sono entrambe estranee a questo processo. Come, la Pedagogia del dolore, può essere d'aiuto in questa educazione?
Con la formazione degli insegnanti, consentendo loro di prendersi cura dell'altro, di modo che possano educarlo, non soltanto sull'apprendimento ma su tutti gli aspetti della vita, attraverso le discipline. La letteratura, ad esempio, è intrisa di morte e di tutti gli aspetti della vita, non c'è bisogno di scomodare progetti speciali per educare ai sentimenti e alla sofferenza.
'Il nostro tempo è caratterizzato dall'enorme difficoltà di dar voce ai sentimenti, alle paure, alle inquietudini'. Secondo lei perché?
In un tempo molto egocentrico e narcisisticamente fondato come il nostro, che vive soltanto di edonismo, tendiamo a rimuovere tutto ciò che ci induce ad una riflessione più profonda e a guardarci dentro, anche perché guardandoci dentro corriamo il rischio di non piacerci, e se non ci piacciamo non vendiamo bene il prodotto che vogliamo vendere agli altri. Tendiamo a rimuovere tutto ciò che lede l'immagine apicale che vogliamo avere di noi stessi. La Pedagogia del dolore è un fatto rivoluzionario perché, in un tempo centrato sull'effimero, pone questioni filosofiche dal punto di vista educativo. [MORE]
In 'Ciao Caterina' Giuseppe dice a Caterina:' la morte non ha la verve dei tuoi anni, non ha l'esprit della vita. Non potrà vincere, vincerai tu'. Come è riuscita Caterina a vincere?
L'assenza di un padre non si risolve mai, nonostante questo Caterina ha vinto perché riesce a convivere con il dolore, ha fatto amicizia con quella assenza e l'ha trasformata nella presenza del padre. La vita non è fatta per essere solamente felici, è fatta per essere equilibrati, nella gioia e nel dolore, in questo senso ha vinto.
Saverio Fontana