Estero
Elisa e Ethem, e i tredici giorni di Giustizia "alla turca" [Video]
ISTANBUL (TURCHIA), 28 GIUGNO 2013 - Di seguito, una cronologia, le storie intrecciate di Elisa e Ethem.
Istanbul, martedì 11 giugno 2013. La polizia turca mette in atto uno dei primi sgomberi forzati, e di quelli più efferati. La folla scappa e cerca riparo ovunque. Tra di loro, Elisa Couvert, studentessa francese, di 24 anni. Nell’ambaradan – sullo stile abissino-andante -, la giovane trova rifugio nei locali del Partito Socialista (l’SDP, partito particolarmente coinvolto nelle proteste). Caso vuole che, in nottata, la polizia faccia irruzione proprio in quell’edificio, arrestando 70 membri del partito. E prendono pure Elisa.
Elisa si trovava a Istanbul per un master in sociologia all’università Galatasaray, ed aveva da poco portato a termine uno stage presso l’IHD, l’associazione turca per i diritti umani. La polizia, dal canto suo, la manda al fresco, sospettata di appartenere a un’organizzazione terroristica armata. Una sorta di ossimoro semantico, per intenderci. Eufemisticamente.
Ankara, venerdì 14 giugno 2013. Nel parapiglia generale degli scontri, un manifestante, alla lettera, para i calci di un poliziotto rimasto temporaneamente isolato dal branco. Nello stesso parapiglia, lo stesso poliziotto, preso dalla paura, estrae l’arma d’ordinanza e spara tre colpi. I primi due, in aria. Con il terzo, alla lettera, piglia in pieno Ethem Sarɪsülük, un manifestante distante circa 5 metri, con in mano uno stendardo. D’ordinanza. Ethem s’accascia al suolo, all’istante. Ahmet Ş., il poliziotto, raggiunge i colleghi. All’istante. Il video di seguito mostra in maniera chiara l’accaduto.
VIDEO: "Ethem Sarısülük`ün vurulma anı-bayrak sapından seken mermi"
Ankara, domenica 16 giugno 2013. In migliaia si radunano per i funerali di Ethem. La polizia blocca l’accesso alla centrale piazza Kɪzɪlay già dal primo mattino, dispiegando unità a migliaia. Il corteo tenta di raggiungere la piazza dal quartiere Batɪkent, ma viene fermato dalla polizia. Nel pomeriggio, le forze dell’ordine irrobustiscono le unità, e giù con lacrimogeni / cannoni ad acqua / proiettili di gomma.
Istanbul, sabato 22 giugno 2013. Elisa è ancora in carcere nel centro di detenzione per stranieri a Kumkapɪ, trattenuta “senza una specifica motivazione”, nell’attesa che la Direzione Generale di Ankara si esprima sulla sua espulsione dal Paese. Elisa da 11 giorni mangia a malapena, per il disgusto del cibo che le viene offerto, che in tanti, nel frattempo, mangiano e vomitano. Niente traduttori per chi non parla turco, che manco è chiaro che ci avranno scritto, nei dossier. Dall’esterno, inoltre, è difficile far entrare alimenti e farmaci. Dipende dai giorni, e da chi è di servizio all’ingresso. Nessuno, poi, ha diritto all’acqua potabile se non pagandola. Costretti a bere dai rubinetti della pericolosissima acqua di Istanbul, donne incinte comprese.
In giornata, le autorità informano Elisa che il suo permesso di soggiorno è stato cancellato. Puff. Rientro in patria, e costretta a pagarsi pure il volo di ritorno. Il suo legale, Gülizar Tuncer, denuncia la mancanza di attenzione da parte delle autorità francesi.
Ankara, lunedì 24 giugno 2013. Ahmet Ş., il poliziotto del 14 giugno, viene rilasciato dal tribunale di Ankara. “Era nei limiti della difesa personale”, hanno sostenuto. Già. Subito dopo l’incidente, il pubblico ministero aveva chiesto il nome del poliziotto, ma le autorità si erano rifiutate di fornirlo. L’avvocato di Ethem, Kazim Bayraktar, ha dunque denunciato la probabilità di un insabbiamento delle indagini. “È chiaro che il decesso del mio assistito sia stato provocato dal colpo del poliziotto, è evidente sia dal video che dalle testimonianze raccolte”.
Ma niente da fare. In fondo, di fronte a uno stendardo, chi di voi non sentirebbe in pericolo la propria vita?
Dino Buonaiuto (Corrispondente dalla Turchia)
(Foto da internethaber.com)[MORE]