Il dibattito sull'Invio di missili a lungo raggio all'Ucraina
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Si è svolto a Strasburgo presso l'Eurocamera il dibattito in merito all'invio di missili a lungo raggio all'Ucraina per colpire il suolo Russo. È stata votata la risoluzione che al paragrafo 8 "invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull'uso delle armi occidentali consegnate all'Ucraina contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo".
Partendo dal presupposto che una tale risoluzione anche se lascia la libertà decisionale ai governi è un invito all'utilizzo dei propri armamenti per colpire la Russia, è un passo verso l'inasprimento del conflitto, e l'allontanamento dal tanto agognato tavolo delle trattative. Su tale votazione per quanto l'Ue voglia mostrarsi unita, si è frantumata come uno specchio. Ma chi ha votato favorevolmente e chi invece contrario?
Alcuni Stati hanno cercato di mantenersi in posizioni ambigue. I favorevoli sono stati Finlandia, Svezia, Paesi Baltici, Polonia, Repubblica Ceca, Danimarca e Olanda.
La posizione tedesca è quantomai contraddittoria, perché a maggio scorso il ministro della difesa aveva dichiarato che: "Dal nostro punto di vista, una volta che i mezzi entrano in Ucraina sono ucraini e possono farne ciò che vogliono", tuttavia al tempo stesso il cancelliere Scholz si è sempre rifiutato di inviare all'Ucraina i Taurus pur rimanendo favorevole all'utilizzo di missili a lungo raggio su suolo Russo.
La posizione inglese e francese è alquanto dubbia. Il presidente Macron lo scorso Maggio in un discorso sembrava convinto circa l'utilizzo dei missili Scalp/Storm Shadow su suolo russo ad oggi invece né Londra, né Parigi né Washington hanno dato il via libera al loro utilizzo in profondità contro la Russia.
La posizione contraria è stata sostenuta a Strasburgo dall'Italia la quale ha votato contro l'utilizzo di qualsiasi tipologia di ^arma contro la Russia pur mantenendo il sostegno all'Ucraina come sta attualmente facendo. Il Belgio, in una posizione confusa, ha messo il veto sull'utilizzo di F-16 contro la Russia, anche se la risoluzione è sui missili a lungo raggio. Il Governo spagnolo è restio a inviare armi per attaccare la Russia. Ufficialmente si sono espressi favorevolmente sette su 27 Stati.
I leader politici hanno una responsabilità morale verso i loro cittadini e verso l'umanità in generale. Essi sono chiamati a prendere decisioni che influenzano profondamente la vita delle persone, e tra queste decisioni spiccano quelle relative alla guerra e alla pace. Dal punto di vista etico, è giustificabile inviare armi di distruzione – che siano missili, bombe, o altre forme di tecnologia bellica – per risolvere conflitti. E soprattutto, esistono conflitti giusti?
La guerra rappresenta il fallimento della democrazia e del diritto, non esiste nessuna guerra giusta. La guerra è guerra comporta perdite di vite, sofferenze e devastazioni. Inviare armi significa intensificare questa violenza, accettando implicitamente la morte di civili innocenti, la distruzione delle infrastrutture e la destabilizzazione sociale.
I leader politici dovrebbero invece promuovere soluzioni pacifiche e diplomatiche, investendo in negoziati, mediazioni internazionali e strumenti per la prevenzione dei conflitti. Sul piano politico, l'invio di armi è spesso giustificato come un modo per difendere la sovranità di un paese o per proteggere diritti umani e libertà. Tuttavia, questo approccio rischia di trasformarsi in una contraddizione: inviare armi per difendere la pace sembra paradossale. Come possiamo affermare di lavorare per la pace mentre alimentiamo l'industria della guerra?
Questa dinamica è strettamente legata all'equilibrio di potere internazionale, alla geopolitica e agli interessi economici delle nazioni, in particolare le lobby che traggono profitto dal complesso militare-industriale. I governi che forniscono armamenti cercano spesso di consolidare la propria influenza su determinate regioni, creando alleanze strategiche, ma anche alimentando conflitti per interessi economici o geopolitici. Questa realpolitik sacrifica spesso la prospettiva di pace a lungo termine per vantaggi immediati, lasciando i popoli a pagare il prezzo di guerre protratte e insensate.
Le popolazioni europee che all'inizio di questo conflitto, si erano dimostrate partecipi con una serie di proteste contro la guerra, oggi invece restano passive e inerti difronte al baratro di una terza guerra mondiale ponendosi sul medesimo piano di corresponsabilità morale con i Capi di Stato e di Governo coinvolti, e intrappolati in una logica contorta di competizione, sospetti reciproci e rivalità militari. Una passività quella delle popolazioni impressionante e mostruosa.
Anche i media televisivi chiudono le porte al dibattito e alle diverse posizioni su tematiche di vitale importanza per tutti noi. Rarissimi gli " Speciali" o assenti del tutto, di approfondimenti sul reale andamento del conflitto in corso. Assente la posizione dei partiti, dei sindacati e di organismi interazionali forti quali le Nazioni Unite capaci di prevenire e risolvere conflitti attraverso mezzi non violenti. Guardiamo con occhi inorriditi le immagini che mostrano lo sterminio di popolazioni intere a Gaza nel ben più grave focolaio di guerra in Medio Oriente. A creare un regime di terrore ulteriore è la coalizione di tutti gli Stati Arabi dopo i recentissimi attentati nei confronti di Hamas che hanno causato numerose vittime civili. Il vero successo politico non è la vittoria in guerra, ma la costruzione della pace duratura.
L'atteggiamento catatonico e stuporoso di milioni di persone che guardano in modo inerte rappresenta la morte della criticità del pensiero pensante, dell'umano che è in noi.
Marco Rispoli (Davoli).