Politica
La piaga della Guerra e le sue devastanti conseguenze
Il mondo in ogni parte è afflitto dalla piaga disumana della guerra: guerra russo-ucraina, guerra civile in Myanmar, guerra di Gaza o israelo-palestinese, conflitto nel Maghreb e nel Sahel, conflitto del Sudan.
Alcune di queste sono site in zone dove già è presente un'alta soglia di povertà e mortalità. Le stesse vengono accentuate dalla guerra che aggiunge sofferenza ulteriore. La guerra rappresenta il culmine della distruzione e della sofferenza, un fenomeno che, al di là di qualsiasi giustificazione, porta solo rovina e caos.
La storia ha dimostrato che il ricorso alle armi non è altro che il fallimento della diplomazia, dell'intelligenza collettiva e dell'empatia umana.
In un mondo interconnesso, dove le nazioni sono chiamate a collaborare per il progresso comune, la guerra appare come una scelta insensata, dettata da interessi egoistici colonialistici e imperialistici.
Visioni miopi.
Criticare la guerra non è solo un dovere morale, ma una necessità per chi crede nella costruzione di un futuro giusto e migliore.
Ogni conflitto armato comporta un pesante tributo in termini di vite umane. Milioni di persone, civili in primis, vengono travolte da una spirale di violenza che le priva della sicurezza, delle loro case e, troppo spesso, delle loro vite.
Le conseguenze economiche sono disastrose, le guerre distruggono le infrastrutture, paralizzano interi settori produttivi, e gettano intere popolazioni nella miseria.
Ciò incide sia sulle economie locali che globali con un drastico incremento dei dislivelli economici tra i ceti e gli Stati. Le conseguenti crisi umanitarie andranno avanti per decenni.
Le risorse che potrebbero essere destinate a settori utili allo sviluppo di un paese quali sanità, cultura, ricerca scientifica ed istruzione vengono destinate invece alla macchina bellica, generando un circolo vizioso di povertà e violenza.
Così facendo, ogni uomo perde la propria possibilità di essere più umano con regressione a stati arcaici e di barbarie. Sul piano politico e diplomatico, la guerra lascia ferite profonde. Le nazioni coinvolte non solo vedono compromessi i loro rapporti reciproci, ma si ritrovano isolate a livello internazionale. Gli equilibri geopolitici vengono stravolti, e le tensioni accumulate possono sfociare in nuovi conflitti, creando una catena di ostilità difficile da spezzare.
La guerra mina la fiducia tra i popoli e i governi, impedendo il dialogo e la cooperazione su questioni globali come il cambiamento climatico, la povertà e le pandemie.
Ogni conflitto sottrae attenzione e risorse alle sfide comuni per il miglioramento dei singoli e delle collettività aggravando ulteriormente le condizioni di instabilità e disuguaglianza.
Quindi la domanda da porsi è a cosa serve realmente la guerra? A nulla.
Come può qualificarsi un atteggiamento così violento e distruttivo? Così lontano dalla natura umana, da quella natura razionale e compassionevole nei confronti dei propri simili?
Certo non è etico raggiungere la pace e la prosperità mediante la guerra, perché non esiste conflitto che possa giustificare il prezzo pagato da un popolo o da una nazione in termine di vite umane e di regressione ad uno stadio arcaico di barbarie, impedendone così di fatto l'ottimale, etica evoluzione dell'uomo non come compiuto ma come compito.
Essa priva l'uomo che viene coinvolto di tutto ciò che lo rende tale, cioè la capacità di affermarsi deontologicamente come essere contro la morte, cioè nella lotta contro la morte propria e del proprio simile è il miglioramento delle condizioni di vita e il benessere dell'umanità.
Ogni conflitto rappresenta il fallimento della diplomazia e della capacità di risolvere le divergenze attraverso il dialogo. Dialogo che dovrebbe caratterizzare l'essere umano al fine di evitare la sua disumanizzazione, morte interiore e regressione a uno stadio più primitivo.
Cosa che accade ai soldati che partecipano alla guerra in cui prevale la logica spietata del "o tu o io", perdono la capacità di agire eticamente, trasformandosi in strumenti di distruzione reciproca.
È qui che l'etica deontologica umanistica assume un ruolo centrale: essa ci richiama alla nostra responsabilità di individui in costante divenire, impegnati a migliorare noi stessi e il prossimo.
Tutto ciò si scontra nell'affermazione e soprattutto nella diffusione di un'etica deontologica che rende ogni individuo nella sua interezza uomo in eterno divenire finalizzato a migliorarsi e a migliorare il prossimo.
Ognuno di noi non è un'isola o una monade isolata ma fa parte della collettività in cui vive, e mediante le proprie azioni materiali, scritti, o ideati procede al miglioramento della stessa e del suo futuro.
Penso che l'etica umanistica dell'uomo contro la morte debba considerarsi un'etica universale che potrebbe essere accettata da chiunque basata sulla solidarietà, collaborazione e unione tra noi umani.
Marco Rispoli (Davoli).