Cronaca

L'eccidio di Portella della Ginestra

PALERMO, 01 MAGGIO 2012- Era un soleggiato mattino, quello del primo maggio 1947, nella Piana degli Albanesi in provincia di Palermo. Nella località montana di Portella della Ginestra, si erano riunite circa duemila persone con l’intento di celebrare la Festa dei lavoratori. Il regime fascista aveva spostato la ricorrenza al 21 aprile e dopo il termine del conflitto si era tornati a solennizzare il primo giorno di maggio. Oltre alla celebrazione della festa si esultava anche per la recente vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali siciliane. La lista unica del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista Italiano aveva ottenuto il 29 % dei consensi contro il 21% della Democrazia cristiana. Nell'occasione si propugnava, inoltre, l'occupazione contadina delle terre incolte.

Regnava un’atmosfera allegra tra un tripudio di bandiere rosse e la speranza di migliorare il futuro. Su di una grossa roccia calcarea, che fungeva da palco improvvisato, parlava alla folla il socialista Nicola Barbero. Uomini e donne, in gran parte braccianti agricoli, ascoltavano le sue parole. Contadini dalle mani ruvide e dalle schiene curve con il corpo e lo spirito segnati dalla guerra e dall’estenuante lavoro nei campi. All’improvviso il discorso di Barbero fu interrotto da dei botti. Gli astanti in un primo momento ipotizzarono che si trattasse di mortaretti sparati per l’occasione. Poi i colpi si fecero più forti e la gente inizio a cadere a terra, tra le urla e la confusione generale. Dopo pochi minuti lo scenario di Portella della Ginestra fu raccapricciante. Gli asini e i cavalli vagavano senza padrone e sul suolo, accanto alle bandiere rosse, giacevano decine di persone. Dalle alture circostanti numerose raffiche di mitra erano state esplose da un gruppo di fuoco. Secondo le fonti ufficiali la strage causò 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti, di cui alcuni morirono in seguito a causa delle ferite riportate. [MORE]

La CGIL proclamò lo sciopero generale mentre il giorno successivo alla strage il ministro dell’Interno Scelba riferì dell’accaduto all'Assemblea Costituente, sostenendo come dietro alla carneficina non vi era un obiettivo politico o terroristico, ma che si trattasse un fatto circoscritto, e identificò in Salvatore Giuliano e nella sua banda gli unici responsabili dell’eccidio.

Salvatore Giuliano nacque a Montelepre (Pa) il 22 novembre 1922, di umili origini, si diede alla macchia dopo aver ucciso con un colpo di pistola un carabiniere. Dal 1945 si avvicina politicamente al Mis (Movimento Indipendentista Siciliano) per poi essere nominato “colonnello” dell'E.V.I.S. (Esercito Volontario per la Indipendenza Siciliana). Nel 1946 il MIS decise di uscire dalla clandestinità e di partecipare alle elezioni per l’Assemblea costituente. Il riconoscimento dello Statuto speciale siciliano riuscì ad attenuare le pretese separatiste. Con l'amnistia del 1946 per i reati politici, i separatisti lasciarono la banda e Giuliano continuò la lotta con coloro che avevano commesso reati comuni. Le imprese di Giuliano, da allora, assunsero la dimensione di veri e propri atti di criminalità comune. Le forze di sinistra sostennero la tesi secondo la quale il bandito Giuliano era solo l'esecutore della mattanza: i mandanti erano gli agrari e i mafiosi, che avevano voluto lanciare un sanguinoso messaggio politico dopo l’affermazione del Blocco del Popolo nelle elezioni regionali. Il deputato comunista Girolamo Li Causi supportò con vigore questa tesi in sede parlamentare.

Il processo, trasferito da Palermo a Viterbo per legittima suspicione, nel 1951 riconobbe la colpevolezza di Salvatore Giuliano e si concluse con la condanna all'ergastolo di Gaspare Pisciotta e di altri componenti della banda senza, però, far piena luce sui mandanti dell’eccidio . Il capo della banda, Salvatore Giuliano morì prima della sentenza. Il bandito, che aveva riempito per anni le cronache dei giornali, venne ucciso, ufficialmente in uno scontro con i carabinieri del "Comando forze repressione banditismo" del colonnello Ugo Luca guidati dal capitano Perenze il 5 luglio 1950 a Castelvetrano (Tp).

Gaspare Pisciotta, cugino e luogotenente di Giuliano, durante il processo, oltre ad attribuirsi l'assassinio del bandito, lanciò pesanti e precise accuse sui presunti mandanti politici della strage « Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: l'onorevole deputato democristiano on. Bernardo Mattarella,l'onorevole deputato regionale Giacomo Cusumano Geloso, il principe Giovanni Alliata di Montereale, l'onorevole monarchico Tommaso Leone Marchesano e anche il signor Scelba. Furono Marchesano, il principe Alliata, l'onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella della Ginestra. Dopo le elezioni del 18 aprile 1948, Giuliano mi ha mandato a chiamare e ci siamo incontrati con Mattarella e Cusumano; l'incontro tra noi e i due mandanti è avvenuto in contrada Parrino, dove Giuliano ha chiesto che le promesse fatte prima del 18 aprile fossero mantenute. I due tornarono allora da Roma e ci hanno fatto sapere che Scelba non era d'accordo con loro, che egli non voleva avere contatti con i banditi. ». Gaspare Pisciotta, venne a sua volta ucciso nel 1954, avvelenato nel carcere dell’Ucciardone di Palermo con della stricnina nel caffè, dopo aver preannunciato le sue rivelazioni sulla strage.

Una tesi più sconcertante, recentemente circolata, attribuisce invece la strage ad una coincidenza di interessi tra reduci fascisti che negli anni della Repubblica di Salò avevano combattuto nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, servizi segreti americani (allarmati dall'avanzata “rossa” in Italia) ed i latifondisti siciliani. Sui documenti dell'intera vicenda riguardante la strage fu posto il segreto di Stato.

Le ombre sull’eccidio di Portella della Ginestra continuano a persistere nonostante siano trascorsi ben 65 anni. A questa terribile strage spettò il triste primato di dare avvio ai grandi e inquietanti misteri dell’Italia repubblicana.

Davide Scaglione