Cronaca

È tempo di fare. Intervista ad Antonio Nicaso

REGGIO CALABRIA, 2 gennaio 2013 – Antonio Nicaso è giornalista calabrese, scrittore, ricercatore e consulente italiano. È uno dei massimi esperti di criminalità organizzata, in particolare di ‘ndrangheta. È autore di diversi libri tra cui bestseller internazionali. È autore, insieme a Nicola Gratteri, di “Dire e non dire”. Vive e lavora in Nord America.[MORE]

Quando e perché ha maturato l'interesse per lo studio sulla criminalità organizzata?

Credo in tenera età. Avevo sei anni, quando per la prima volta ho sentito pronunciare la parola mafia. Il padre del mio compagno di banco era stato ammazzato perché si era rifiutato di comprare il ferro dai mafiosi che controllavano la zona. Forse è maturata in quegli anni la convinzione che da grande avrei preferito la consapevolezza all’indifferenza. A sedici anni ho cominciato a occuparmi di criminalità organizzata, scrivendo per alcuni giornali della mia regione. Non ho più smesso di occuparmi di mafie.

É giornalista e scrittore, attualmente che tipo di professioni sono?

Io mi ritengo fortunato. Faccio lo scrittore a tempo pieno. Scrivo, leggo e viaggio. Tengo anche dei corsi in varie università. Mi piace il contatto con la gente, soprattutto con i giovani .Poi quando posso, soprattutto quando torno in Italia, trascorro giornate intere negli archivi di stato. Sono sempre alla ricerca di qualcosa. La ricerca mi appassiona.

Dalla Calabria al Canada, ci racconta la sua storia da cronista?

Dopo aver fatto il cronista in Calabria, scrivendo per alcuni quotidiani calabresi e siciliani, nel 1990 ho lasciato l’Italia. Sono andato prima negli Stati Uniti e poi in Canada, dove ho continuato a scrivere. Ho fatto il giornalista per 13 anni, sono stato anche condirettore di un quotidiano e direttore editoriale di un gruppo di giornali pubblicati in varie lingue. Ho fatto anche il consulente e ho tenuto corsi e lezioni in varie università. In Nord America, ho continuato a pubblicare libri. Ne avevo pubblicati due in Italia prima di partire. Nel 1992 ho pubblicato Deadly Silence. E poi a seguire Global Mafia, Rocco Perri, Bloodlines e Angels, Mobsters and Narco-terrorists. Tra qualche mese negli Stati Uniti uscirà un libro sulla semiotica delle mafie, una nuova e interessante prospettiva per comprendere meglio i mafiosi.

É possibile dare una definizione di criminalità organizzata?

È un termine generico. Le organizzazioni criminali di stampo mafioso, invece, sono un mix di giustizia privata e scambio di relazioni.

Cosa può e deve fare lo Stato per sconfiggere questo cancro?

Dovrebbe combattere le mafie senza soluzione di continuità, scardinando il grumo di potere che lega le mafia alla politica, all’economia, alla finanzia, alla società nel suo complesso.

Perchè la 'ndrangheta è considerata la amfia più potente?

Oggi è la mafia più ricca con un fatturato di 44 miliardi di euro. Colpevolmente sottovalutata per troppo tempo, è cresciuta nel silenzio, ramificandosi in quasi tutti i continenti.

Qual è e com'è organizzato l'impero della 'ndrangheta?

È una struttura unitaria, dotata di un organismo di raccordo, con tanti locali, ciascuno egemone sul proprio territorio, dotata di un organismo di raccordo. Oggi la ‘ndrangheta ha quasi il monopolio della cocaina in Europa.

In seguito al fenomeno del pentitismo, le organizzazioni criminali hanno subito modifiche e si sono adeguate al cambiamento, in che modo?

La ‘ndrangheta è stata appena sfiorata dal fenomeno del pentitismo. La sua particolare struttura basata sul vincolo di sangue continua a proteggerla da delazioni e defezioni.

Oggi c'è un’area grigia della società che si espande sempre di più costituita da commercianti e professionisti che fanno da intermediari con la mafia. Perché?

L’area grigia c’è sempre stata. È solo cambiato il contesto socio-economico. La storia delle mafie è una storia di relazioni. Oggi più che di area grigia bisognerebbe parlare di osmosi. In alcune regioni le mafie sono particolarmente radicate e intrecciate che diventa quasi difficile distinguerle.

È autore insieme a Nicola Gratteri di Dire e non dire. Per quali motivi avete deciso di scrivere questo libro?

È un libro che entra nella testa e nella pancia degli ‘ndranghetisti. Racconta la ‘ndrangheta dall’interno. Sono gli ‘ndranghetisti a parlare, ignari di essere intercettati. E parlano di tutto. In appendice ci sono un centinaio di aforismi estrapolati da intercettazioni ambientali e telefonici. Sono spaccati interessanti sul modo di pensare degli ‘ndranghetisti.

Cosa si deve dire e cosa no?

Dovremmo smetterla con la logica del dire e non dire. E’ tempo di fare.

Esiste una mentalità per poter cambiare le cose?

Ancora no. Per combattere le mafie c’è bisogno del contributo di tutti. Per molto tempo si è ritenuto che la lotta alla mafia spettasse agli altri. La lotta alle mafie deve diventare prioritaria nell’agenda politica di ogni partito. La lotta alle mafie è una battaglia di civiltà e di libertà.

Giulia Farneti