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È l’affaccio a fare la differenza tra luce e veduta
COSENZA, 27 MAGGIO - Affinché si possa parlare di veduta, e non di semplice luce, occorre che sia presente non solo la possibilità della inspectio, ma anche quella della prospectio. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 14091/2019, depositata il 23 maggio.
Il caso. Con atto di citazione due coniugi, in qualità di comproprietari di un’unità immobiliare ubicata in uno stabile, convenivano in giudizio il proprietario del frontistante fabbricato, lungo la medesima via pubblica, per sentirlo condannare a demolire o arretrare i volumi edilizi realizzati in sopraelevazione sul lastrico solare preesistente allo stabile, in quanto posti a distanza inferiore a quella regolamentare (10 mt.) rispetto alla facciata del proprio stabile. Il Tribunale competente, dopo la costituzione del convenuto e lo svolgimento dell’istruttoria, anche mediante espletamento di CTU, rigettava la domanda attorea con condanna alle spese. Il Giudice di primo grado respingeva la domanda attorea.
Avverso tale sentenza gli attori interponevano appello. La Corte d’Appello territoriale confermava la sentenza di primo grado, evidenziando che la questione aveva ad oggetto la natura di porta o finestra dell’apertura esistente sulla parete dell’immobile della parte appellante, in quanto nel primo caso, la sopraelevazione non sarebbe stata assoggettata al rispetto delle distanze di metri 10 dallo stabile frontistante come imposta dal regolamento comunale ivi vigente, mentre, nel secondo caso, dovendosi applicare tale disciplina, la sopraelevazione avrebbe dovuto essere demolita, per il mancato rispetto della distanza minima prevista. Dall’istruttoria, infatti, era emerso che la porta finestra consisteva in una porta a struttura metallica, con vetrata trasparente, che da un vano originariamente qualificato come soffitta consentiva l’accesso ad un terrazzino di forma trapezoidale. Da tale conformazione dei vani, oltre che dalle caratteristiche dell’apertura, il CTU era pervenuto alla conclusione che la più volte citata portafinestra fosse una porta piuttosto che una finestra e, negli stessi termini, si era espresso anche l’ufficio tecnico comunale in una nota redatta proprio al fine di replicare alla diffida stragiudiziale fatta pervenire a quell’ufficio dal legale degli stessi appellanti, con la richiesta di revoca, in quanto illegittima, della concessione edilizia rilasciata all’appellato per la sua sopraelevazione. Sulla base di tali indicazioni il Tribunale, dunque, era pervenuto correttamente alla conclusione che la portafinestra dell’appellato fosse essenzialmente una porta avendo la funzione essenziale di rendere possibile l’accesso al terrazzino e non quella di affacciarsi, ovvero oltre che di inspicere anche di prospicere (art. 900 c.c.). Pertanto, trattandosi di porta e non di finestra, secondo i giudici non si applicava la distanza, minima, di dieci metri imposta dal regolamento comunale che avrebbe, in caso contrario, giustificato la domanda degli attori.
Avverso tale sentenza i soccombenti proponevano ricorso per cassazione. Il Supremo Collegio respingeva i vari motivi di gravame rilevando anzitutto come spettasse al giudice del merito, e non a quello della legittimità, lo stabilire se una porta oltre a dare accesso ad un locale assolvesse anche, o no, alla funzione di assoggettare il fondo vicino ad una visione completa, ossia obliqua e laterale. In ogni caso, nel giudizio sottoposto alla sua attenzione il Tribunale aveva escluso, in base alle risultanze della CTU, che la porta in oggetto potesse qualificarsi anche come veduta, in quanto mancava la possibilità della prospectio, e cioè sia lo sguardo frontale che laterale sul fondo del vicino. In merito alle porte finestrate, in particolare, ricordavano i giudici di legittimità come fossero tali solo quelle che presentassero finestre qualificabili come vedute e non come semplici luci. Pertanto, Il principio di diritto era quello ben noto per cui l’obbligo nelle costruzioni di osservare determinate distanze sussisteva solo qualora si fosse in presenza di vedute e non di luci: nel caso di specie, pertanto, trattandosi di luci e non di vedute correttamente il giudice di prime cure aveva respinto il ricorso non ritenendo sussistente il requisito della distanza regolamentare di dieci metri invocata dagli attori.
Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express