Fantasticherie del cuore
E' forse cosa buona e giusta perdere l'identita' cristiana?
L’uomo per riconoscere il Signore ha bisogno di un segno, di una parola, di un gesto in discontinuitàà con una realtà piatta, vissuta a volte come la migliore condizione di vita. Una convinzione spesso artificiale e promossa ad arte dal potere dell’informazione e della politica che in diverse occasioni rispondono alla stessa logica del sistema di turno. Non sempre si è comunque disposti a credere in quello che si vede. Mosè dovette faticare molto a convincere il faraone a liberare il popolo d’Israele per come aveva chiesto il Signore. Ci vorranno segni potenti come le dieci piaghe d’Egitto a modificare una resistenza, legata soprattutto al riconoscimento di un Dio che non fosse lo stesso Faraone. Basta poi pensare agli apostoli.[MORE]
Quanto tempo è servito ad aprire loro gli occhi? Quanti gesti e parabole per trasformare l’attrazione tutta terrena del Messia, a grazia del Padre per la salvezza e la redenzione del mondo, passando dalla morte in croce? La stessa trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor incanta e seduce il cuore di Pietro, Giovanni e Giacomo, ma non basta completamente a far loro discernere la vera identità del Figlio dell’Uomo. Solo nella seconda lettera di Pietro si trova un riferimento esplicito: “Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza.
Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto (1,16-18)”. In questa nostra società tecnologicamente avanzata non bisogna di certo vergognarsi di interrogare accuratamente il proprio cuore. Si sta forse trasmettendo, intorno al proprio spazio sociale, un modello di comportamento capace di accendere in chi sta vicino una scintilla di fede? Quest’ultima è così forte in ognuno da produrre una tale sana eventualità? Si è convinti che, al di là del personale ruolo professionale e sociale, la trasmissione negli altri della verità di Dio, non passi da sermoni scopiazzati o da richieste di appuntamento privato, ma dai segni chiari che si è pronti a lasciare nella quotidianità? Non si può non rispondere a questi interrogativi.
Glissare significa farsi del male e cadere fortemente nella logica tutta utilitarista che punta il proprio interesse sulla propria autodeterminazione, rispondendo solo a sé stessi e qualificandosi in uno spazio che annulla l’identità di Cristo nella vita del singolo. Non a caso si preferisce cercarla in altre filosofie o teorie esistenziali, scritte o cantate che siano. Se oggi nel mondo la fede traballa non è perché ci sia un Dio in difficoltà, ma piuttosto un cristiano che non crede più intimamente nella forza della sua missione. I segni all’esterno si confondono con l’edonismo di maniera. Tutto è uguale. Il credente può uniformarsi al relativismo vigente? Quale testimonianza attiva sarà mai quella del credente che in parlamento, nel lavoro, a scuola, in famiglia, per strada, faccia prevalere il timore di sostenere il proprio pensiero di fede, pur nel rispetto delle idee altrui? Al lettore la risposta!
Egidio Chiarella
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