Chiesa e Società
Don Alessandro Carioti: "La delega delle responsabilità"
Dalla pagina di Facebook di don Alessandro Carioti condividiamo la sua riflessione.
Sono molti i genitori che, oggi, in nome di una smodata emancipazione, ma anche per il timore di inimicarsi i loro figli, ritengono di non obbligarli più all’osservanza di determinati valori considerati, da sempre, principi fondamentali della loro educazione e del buon senso.
Si ragiona più o meno così:
Ma facciamoli vivere liberi questi giovani. Non li assilliamo. Di vita ce n’è una sola. Che si divertano. Tanto fanno tutti così oggi. Che male fanno?
Non si riflette sulla ripercussione negativa che questo modo di dire ha sulla loro crescita, sul loro modo di guardare alla vita. È come lasciare i giovani liberi di condurre la loro vita senza direttive. Simili a delle auto loro affidate che possono guidare liberamente senza l’osservanza di regole, senza limiti, andando all’impazzata.
Poi, però, ci si scontra con la triste realtà: molti giovani si allontanano dalla fede, abbandonano lo studio, prendono strade cattive e contestano ogni istituzione e agenzia educativa (nella speranza che molti di loro non siano stati già fagocitati in esperienze ancor più nefasti).
E qui la mia considerazione…
Molti genitori hanno perso il controllo dei loro figli: Dovendo discolparsi sulla loro mancata responsabilità educativa, per mitigare il loro senso di colpa, additano la causa di tante conseguenze negative, su altre figure educative: la chiesa, la scuola, i formatori, le amicizie, ecc. Si ragiona così:
“Oggi non si fa nulla per recuperare questi giovani”.
Quanto è brutta la parola “recuperare”. Pensate come può sentirsi un figlio se dovesse sentirsi considerato uno da dover recuperare. Pensate però come deve sentirsi un genitore se riflettesse un po’ sul fatto che molti di questi figli hanno capito benissimo la differenza che c’è tra la loro colpa per delle scelte sbagliate e la “causa” che le ha determinate. Causa che “chiaramente” molti figli (lo hanno capito bene) l’addebitano ai loro genitori per averli lasciati - non liberi - ma totalmente sprovveduti di attenzione, di formazione, al punto di essersi stati messi nella condizioni di fare quello che hanno voluto (e più delle volte quello che non avrebbero voluto fare).
A volta mi sembra che questo mondo funzioni sul modello di questa metafora: uno getta un mozzicone acceso o un fiammifero in un bosco e, di conseguenza, vi si crea un incendio di dimensioni incalcolabili. Poi, chiaramente, il colpevole si lamenta che debba esserci qualcun altro addetto a spegnere e a recuperare il bosco ormai distrutto.
È il caso della delega: una volta commesso un danno occorre trovare “altri” che si assumano l’onere per trovare della soluzioni a delle questioni molte volte irresolute.
Questo tipo di delega (non parlo certo del grido sincero e disperato da parte di alcuni genitori) l’ho sempre considerata un’espressione di indolenza, di incoerenza, di infingardaggine.
Sapete quanti giovani vengono da noi sacerdoti per chiedere aiuto (giusto per usare la similitudine di prima), come delle auto già rotte, frantumate, rovinate. Certo, con la grazia di Dio e con la speranza che “il bosco, con i suoi tempi, possa ricrescere”, si fa quello che si può e si deve fare.
Ma vorrei soffermarmi su un'ultima parola: "sinergia".
La sinergia delle responsabilità educative e formative può aiutare tanto i giovani d'oggi. Genitori ed educatori, insieme, devono trovare il metodo della forma preventiva per insegnare, consigliare e dialogare con i giovani, spiegando loro - a volte anche con fermezza - che c’è sempre un perché su tante “cose che non si devono fare”.
Quando si comprende il perché delle cose è possibile evitare che una “macchina” e un ”bosco” vengano distrutti.