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Dl rilancio: Lamorgese, regolarizzazione non è un condono
Dl rilancio: Lamorgese, regolarizzazione non è un condono. Accende un faro su rapporti lavoro, vale per 200mila immigrati
ROMA, 14 MAG - "Non è un 'condono' ma una procedura di emersione e di regolarizzazione che, al pari di quanto fatto da altri governi, accende un faro sui rapporti di lavoro e sugli immigrati irregolari sui quali, ora, potremmo disporre dei dati anagrafici, previdenziali e sanitari. Compresi quelli utili a gestire l'emergenza Covid-19 anche in contesti sociali difficili da monitorare".
Così la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese in un'intervista a 'Il Corriere della sera' sulla regolarizzazione, la norma contenuta nel decreto Rilancio che - dice - sarà valida per 200mila immigrati. "Credo che questo provvedimento di regolarizzazione e di emersione - osserva - garantisca allo stesso tempo, soprattutto nel contesto emergenziale attuale, la dignità delle persone, la sicurezza sanitaria, la tutela della legalità e le esigenze del mercato del lavoro". A chi "parla di 'colpo di spugna', Lamorgese dice che "questa procedura di emersione e regolarizzazione" prevede "accurate verifiche, prima dell'accoglimento della domanda, su condanne e procedimenti penali pendenti.
C'è un doppio filtro che deve rassicurare tutti. Il primo: la sospensione dei procedimenti penali per il datore di lavoro è esclusa per i reati più gravi, come quelli di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, di tratta finalizzata alla prostituzione e allo sfruttamento dei minori, di riduzione o mantenimento in schiavitù, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Il secondo: non può essere ammesso alla regolarizzazione il lavoratore straniero verso cui sia stato emesso un provvedimento di espulsione per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, o se è stato condannato per reati contro la libertà personale, droga e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina".
"Il numero di richieste potrebbe collocarsi a metà strada tra la regolarizzazione del governo Berlusconi, circa 300mila domande, e quella del governo Monti, circa 100 mila - rileva Lamorgese - e i costi sostenuti dal Viminale si prevede siano coperti dal gettito derivante dai contributi forfettari richiesti al datore di lavoro e al lavoratore".
I rischi di infiltrazione mafiosa nelle crisi economica da Covid-19 "riguardano sia i settori produttivi che hanno continuato a operare durante la prima fase dell'emergenza, sia quelli che hanno subito perdite a causa del lockdown. Soprattutto i piccoli imprenditori a corto di liquidità potrebbero esporsi ai tentacoli dell'usura. La rapida erogazione delle ingenti risorse destinate a famiglie e imprese è fondamentale. I ritardi, infatti, rischiano di favorire i sodalizi criminali. È quindi necessario evitare inutili aggravamenti procedurali. Ma non per questo si può rinunciare ai controlli".