Criminologia
Disturbo Dissociativo dell'Identità. Intervista alla psicoterapeuta Elisa Tonini
LATINA, 26 GIUGNO 2017 - La letteratura e il cinema hanno spesso utilizzato per le trame delle loro opere il disturbo dissociativo dell'identità, conosciuto in passato anche come disturbo di personalità multipla. In alcune rappresentazioni, i tratti delle persone affette da questa particolare patologia psichica sono stati descritti sconfinando nel mistero e nel paranormale. Il fenomeno, tra l'altro molto raro, è complesso e fa parte di una categoria diagnostica ben definita.
InfoOggi ha intervistato la Dottoressa Elisa Tonini – psicologa, psicoterapeuta analista transazionale, esperto in psicodiagnosi e psicopatologia giuridica e forense - per spiegare le caratteristiche principali del DDI, l'eziologia e i possibili trattamenti terapeutici.
Dottoressa, cosa si intende per disturbo dissociativo? Qual è la differenza tra amnesia dissociativa, disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione e disturbo dissociativo dell'identità?
“La dissociazione è un termine utilizzato per descrivere la disconnessione tra alcuni processi psichici rispetto al restante sistema psicologico dell’individuo, ossia si crea un’assenza di connessione nel pensiero, nella memoria e nel senso di identità di una persona. Può sembrar strano ma ogni individuo nella vita quotidiana può vivere momenti di dissociazione: l’esempio più classico è il dimenticarsi di essere alla guida poiché assorti in altri pensieri o anche leggere un brano senza però prestare effettivamente attenzione a quanto scritto. Queste esperienze dimostrano la capacità dell’individuo di lasciarsi coinvolgere dalle proprie fantasie e di poter poi riprendere il controllo delle proprie funzioni mentali. In questi casi, la realtà dalla quale ci allontaniamo non è percepita da noi come minacciosa e gli episodi in cui ci dissociamo restano transitori. La dissociazione è dunque un processo di dis-integrazione, la mente viene a perdere la sua capacità di integrare alcune funzioni superiori, e svariate osservazioni cliniche stabiliscono un legame causa-effetto tra trauma e dissociazione (Dutra et al., 2009). Tuttavia tale rapporto sembrerebbe essere non lineare: la dissociazione non è una difesa dal dolore del trauma, essa si configura piuttosto come una disintegrazione di coscienza e intersoggettività. I disturbi dissociativi sono caratterizzati da uno sconvolgimento e/o discontinuità nella normale integrazione di coscienza, memoria, identità, emozione, percezione, rappresentazione del corpo e comportamento. I sintomi dissociativi possono potenzialmente compromettere ogni area del funzionamento psicologico e sono vissuti come una intrusione nella consapevolezza e nel comportamento, con perdita di continuità nell’esperienza soggettiva (sintomi positivi) e/o impossibilità di accedere alle informazioni o controllare le funzioni mentali che normalmente sono facilmente suscettibili di accesso o controllo (sintomi negativi). Comprendono: il disturbo dissociativo di personalità; l’amnesia dissociativa; il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione; il disturbo dissociativo non specificato. Il disturbo dissociativo dell'identità si caratterizza per la presenza di due o più o stati di personalità distinti (ciascuno con i suoi modi di percepire, relazionarsi, e pensare nei confronti di se stesso e dell’ambiente). Almeno due di queste identità o stati di personalità assumono in modo ricorrente il controllo del comportamento della persona e ognuna di esse, quando presente, non ha assolutamente coscienza dell’altra. L’amnesia dissociativa è un disturbo dissociativo, ma rappresenta anche il sintomo caratterizzante il DID, tendenzialmente si manifesta attraverso l’incapacità di ricordare importanti informazioni autobiografiche che dovrebbero essere conservate correttamente in memoria e che normalmente sarebbero prontamente ricordate. A differenza delle amnesie permanenti, la memoria ha correttamente immagazzinato le informazioni, e quindi è sempre potenzialmente reversibile. Con il termine depersonalizzazione, nel DSM 5 si descrivono quelle esperienze di irrealtà, distacco, o sensazione di essere un osservatore esterno rispetto al proprio corpo o ai propri pensieri, sentimenti, sensazioni, azioni (ad esempio: alterazioni percettive, senso distorto del tempo, sensazione di un Sé irreale o assente, intorpidimento emotivo e/o fisico). Per derealizzazione invece, si intendono quelle esperienze di irrealtà o di distacco rispetto a un ambiente (ad esempio, persone o oggetti sono vissuti come irreali, onirici, senza vita o visivamente distorti)”.
Potrebbe descrivere il quadro sintomatologico?
“Il quadro sintomatologico è caratterizzato dalla presenza di frequenti disgregazioni e interruzioni del senso di sé e del mondo circostante. Spesso ciò è fonte di spavento e preoccupazione per gli individui che, a lungo andare, si rendono conto di perdere sempre più il controllo della loro vita e iniziano a presentare alti livelli di ansia (sviluppando anche attacchi di panico), depressione, problemi nell’ambito sociale e comportamenti disfunzionali come l’abuso di sostanze. La differenza con tutti gli altri disturbi dissociativi, è che la persona con disturbo dissociativo dell’identità ricorre alla dissociazione in maniera massiccia come forma di difesa a stimoli traumatici. Tuttavia, a differenza degli altri disturbi dissociativi, in questo disturbo durante la dissociazione la persona non solo “spegne” i contatti con il mondo esterno ma apre anche un forte mondo immaginativo che è particolarmente vivido e quasi reale. In questo mondo alternativo e parallelo la persona immagina realtà e identità distinte da quella principale e agisce come se fossero reali. Tuttavia, poiché queste esperienze sono fatte in uno stato di coscienza parallelo, la personalità principale non ne ha memoria mentre ne avrà memoria l’identità parallela. Ad esempio, il paziente con disturbo dissociativo dell’identità, può passare da una personalità principale calma e pacifica a un’identità secondaria distruttiva e aggressiva. Quando il paziente entra nell’identità alternativa, i ricordi di azioni ed eventi fatti nei precedenti stati aggressivi diventano più accessibili e viceversa”.
Quando esordisce il Disturbo Dissociativo di identità? Qual è l'eziologia?
“Affinché ci sia un esordio di DID deve essere rilevato un trauma cronico in infanzia, necessario per interrompere il normale sviluppo della personalità. Si ritiene che tale trauma debba avvenire prima dei sei o comunque prima dei nove anni. L’età di sei anni è considerata un periodo critico per l’integrazione del proprio senso di sé a causa della maturazione di ippocampo e corteccia prefrontale. Il disturbo dissociativo dell’identità è associato a una storia di esperienze traumatiche gravi e prolungate, nella maggior parte dei casi verificatesi durante la prima infanzia, pertanto si ipotizza che l'attaccamento disorganizzato costituisca l'esperienza primaria che determina la predisposizione alla dissociazione. Tali esperienze traumatiche possono riguardare abusi fisici, sessuali ed emotivi, esperienze di maltrattamenti e abbandono. L’essere esposti ad un’esperienza traumatica, ovvero che comporti un pericolo di vita (da definizione del DSM), attiva in noi il sistema di difesa, un sistema molto arcaico incaricato di proteggerci dalle minacce ambientali che agisce con estrema rapidità ed al di fuori della consapevolezza.
La dissociazione consente alla persona di canalizzare il dolore entro percorsi che la aiutano nella sopravvivenza, tanto che alcuni autori l’hanno definita un fattore di resilienza evolutiva (Brand et al., 2009). I “compagni”, che il soggetto che soffre di DID, ha sviluppato nel suo percorso l’hanno aiutato a sopravvivere in una situazione drammatica e ostile. Tuttavia, gli stessi meccanismi attivati dalla mente a scopo difensivo per fronteggiare momenti estremamente dolorosi e travolgenti, divengono successivamente dannosi e patologici per la persona stessa. Se l’attivazione del sistema di difesa perdura a lungo, si trasforma da risposta evolutivamente adattativa a risposta disadattativa, perché impedisce un normale esercizio della metacognizione ed in generale delle funzioni superiori della coscienza, non permettendo l’integrazione di quella memoria traumatica che rimane, tuttavia, iscritta nel corpo”
Quali sono i criteri diagnostici proposti dal DSM 5 per trarre la diagnosi di Disturbo Dissociativo dell'identità?
“Nel DSM-5 i disturbi dissociativi sono posti accanto ai disturbi da Trauma, il che riflette la stretta relazione tra queste classi diagnostiche. I disturbi dissociativi, infatti, sono frequentemente successivi a traumi e molti dei sintomi, tra l’imbarazzo e la confusione o il desiderio per nasconderli, sono influenzati dalla vicinanza al trauma. Secondo i criteri del DSM 5, il disturbo dissociativo dell’identità è caratterizzato da:
- Presenza di due o più identità distinte, descritta in molte culture come un’esperienza di possessione spiritica. Questo comporta una forte compromissione della continuità del senso di Sé, accompagnata da alterazioni negli affetti, nei comportamenti, nella coscienza, nella memoria, nella percezione, nella cognizione e nelle funzioni senso-motorie. Queste alterazioni possono essere auto-riferite o riportate da terzi;
- Lacune ricorrenti nel richiamo di eventi quotidiani, di informazioni personali importanti e/o eventi traumatici (in contrasto con l’ordinario oblio);
- I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione sociale, lavorativa o di altre importanti aree di funzionamento. Il disturbo non fa parte di una pratica culturale o religiosa largamente accettata;
- I sintomi non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza o di un’altra condizione medica.[MORE]
Quali sono le manifestazioni sintomatologiche del disturbo?
“E' possibile individuare il DID prestando attenzione alle seguenti manifestazioni sintomatologiche: sintomi di depressione, manifestazioni d’ansia (sudorazione, tachicardia, palpitazioni), fobie, attacchi di panico, sintomi fisici, disfunzioni sessuali, disturbi del comportamento alimentare e disturbi post-traumatici da stress. Sono frequenti pensieri e tentativi di suicidio, così come episodi di automutilazione. Molti soggetti hanno fatto abuso di sostanze psicoattive per un certo periodo di tempo. Gli individui con disturbo dissociativo dell’identità possono anche segnalare allucinazioni visive, tattili, olfattive, gustative, e somatiche, che di solito sono legate a fattori post-traumatici e dissociativi. Avvertono questi sintomi come causati da un’identità alternativa (“mi sento come qualcun altro che vuole piangere con i miei occhi”). In ambito clinico predominano casi di donne con disturbo dissociativo dell’identità: gli uomini possono negare i loro sintomi e le storie di traumi, e questo può portare a tassi elevati di falsa diagnosi negativa. Le donne con disturbo dissociativo dell’identità presentano più frequentemente acuti stati dissociativi (flashback, amnesia, fuga, sintomi da conversione, allucinazioni, automutilazione); gli uomini presentano più comunemente comportamenti criminali o violenti”.
Quali sono gli approcci terapeutici per trattare il DID?
“Il trattamento raccomandato per la cura dei Disturbi Dissociativi è la psicoterapia, con lo scopo principale di ricondurre il paziente verso un migliore funzionamento integrato. Il terapeuta promuove l’idea che tutte le identità alternative rappresentino tentativi di adattamento per far fronte o padroneggiare le difficoltà incontrate dal paziente, e agisce aiutando le identità a conoscersi l’una con l’altra, accettandosi come parti legittime del sé e negoziando per risolvere i loro conflitti. Io sono una psicoterapeuta ad orientamento analitico-transazionale ad approccio integrato e nella formulazione di interventi specifici per questi clienti farei riferimento ai seguenti approcci: la terapia cognitivo-comportamentale la terapia dialettico-comportamentale DBT (Linehan, 1993a, 1993b), la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR; Shapiro - Solomon, 2001), le terapie di gruppo, la farmacoterapia.
Ritengo che per la cura di questi disturbo, sia fondamentale un lavoro di equipe; credo anche che sia necessaria una particolare attenzione etica ad alcuni principi fondamentali, quali la responsabilità e la protezione, pertanto come psicoterapeuta promuoverei una collaborazione con uno psichiatra. Tuttavia, la farmacoterapia non rappresenta un trattamento di elezione in quanto non sono disponibili farmaci in grado di agire elettivamente sui sintomi dissociativi. Il ricorso alla terapia farmacologica è finalizzato alla riduzione della sintomatologia ansioso-depressiva, l’irritabilità, l’impulsività, l’insonnia, con il fine di raggiungere una stabilizzazione emotiva. Tra i più utilizzati: farmaci antidepressivi SSRI, più spesso utilizzati per trattare i sintomi depressivi e/o sintomi del disturbo post-traumatico da stress; gli ansiolitici utilizzati principalmente come approccio a breve termine per trattare l’ansia; i neurolettici o i farmaci antipsicotici, in particolare i nuovi antipsicotici atipici sono stati usati in dosi relativamente basse per trattare con successo l’iperattivazione, la disorganizzazione del pensiero, i sintomi intrusivi del PTSD, così come l’ansia cronica, l’insonnia e l’irritabilità. In situazioni particolarmente complesse, valuterei l'ipotesi di un ricovero psichiatrico per alleviare la difficoltà del cliente”.
Quanti alter-ego si possono scoprire durante il trattamento?
“Rispetto agli alter-ego, ritengo che sia un mito da sfatare. Difatti le persone che soffrono di questo disturbo non hanno molteplici identità all’interno di uno stesso corpo, ma l’opposto: questi soggetti non hanno nemmeno un’identità completa, bensì frammenti di una personalità, diversi stati del sé non collegati tra loro (dissociati). Tuttavia, nel loro insieme, tutte le identità alternative costituiscono l’identità o la personalità della persona affetta da DID (ISSTD, 2011). In questo senso, in terapia, i clinici considerano tutta la persona (o il sistema d’identità alternative) come responsabile del comportamento di una o tutte le identità (Radden, 1996), promuovendo così l’integrazione. Proprio per favorire questa corretta comprensione del disturbo, il disordine è stato rinominato nella quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV, APA 2000), da “Disturbo di personalità multipla” a “Disordine dissociativo di identità” (DID, Dissociative Identity Disorder)”.
Ci sono ricordi condivisi tra le varie identità?
“E’ comune tra le persone con DID avere una certa consapevolezza della presenza delle “altre” identità, sentire le altre identità comunicare e avere consapevolezza delle loro attività (Dell, 2006). Molti pazienti possono accorgersi dei segni delle altre identità a partire dall’infanzia, tuttavia possono cercare di ignorarle, dimenticarle e rigettarle. Inoltre, molti soggetti con DID sono consapevoli che la loro memoria è spesso inaffidabile, che fanno alcune cose senza ricordarsi di averle fatte, e che a volte si comportano “al di fuori del loro personaggio”, senza essere in grado di fermare o controllare le loro azioni. In ogni caso, dopo la diagnosi e durante il trattamento, le diverse identità cominciano a coltivare una comunicazione interna (ISSTD, 2011). Il lavoro con i DID è quello di promuovere l'integrazione tra le diverse identità”.
Molti criminali cercano di ottenere l'infermità mentale inscenando sintomi del DDI. Come è possibile per un terapeuta non farsi trarre in inganno?
“Ritengo che sia utile prestare particolare attenzione alla raccolta anamnestica del paziente, focalizzandosi sulla ricerca di esperienze traumatiche croniche nella sua storia, criterio necessario per tale diagnosi. Inoltre effettuerei una valutazione testologica, presumibilmente utilizzerei test proiettivi, ad esempio il test di Rorscach. Il punteggio dissociativo è formato da sei indici Rorschach: cambiamenti estremi e insoliti nei percetti della medesima tavola; risposte insolite e spesso arbitrarie in cui le distanze sembrano esagerate o le combinazioni spaziali incoerenti; riferirsi a forme rovesciate o identificare percetti capovolti rispetto all’orientamento della tavola, senza che il soggetto senta il bisogno di girarla; forme viste attraverso mezzi oscuranti come veli o nebbie; una modalità particolare di vedere i percetti frammentati, che va oltre il dettaglio umano insolito o il dettaglio animale; frequenti vuoti di memoria che suggeriscono un’amnesia psicogena tra le risposte spontanee e l’inchiesta al test, oppure il passaggio da percetti elaborati, simili a flashbacks e a risposte convenzionali sia entro che tra le tavole (Saunders, 1991). Nella valutazione finale al test di Rorschach, riveste particolare significato anche l’atteggiamento del soggetto al test, il suo comportamento e le verbalizzazioni durante la somministrazione: Armstrong propone un approccio al paziente dissociativo in cui “tutti gli aspetti divergenti del Sé sono invitati a partecipare alla valutazione. Vengono fatti tentativi di minimizzare le paure relative al trauma e la confusione relativa al Disturbo Multiplo di Personalità, facendo familiarizzare il paziente con le procedure testistiche e l’ambiente e sollecitandolo a fare domande”. Credo sia utile affermare che sono stati creati Strumenti di valutazione specifici per la dissociazione quali: Dissociative Disorder Interview Schedule (DDIS); Structural Clinical Interview for DSM-IV (SCID-D)”.
Luigi Cacciatori