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Distanze tra costruzioni: c'è differenza tra edificio principale ed accessorio?
COSENZA, 27 MARZO - In tema di distanze tra costruzioni e distanze tra costruzione e confine, non v’è alcuna differenza tra fabbricati principali e costruzioni accessorie ai primi. In questo contesto, a nulla valgono le eventuali distinzioni tra gli stessi enucleate nelle norme edilizie locali, le quali possono essere prese in considerazione al solo fine della maggiore distanza imponibile in ragione di quanto disposto dall’art. 873 del c.c.. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 6855/2017, depositata il 16 marzo. [MORE]
Il caso. Il proprietario di un fondo, sul quale insistevano un fabbricato principale di sei piani fuori terra ed uno accessorio di un solo piano di fatto adibito a studio professionale, citava in giudizio i titolari del fondo confinante lamentando la violazione delle distanze legali ad opera del primo fabbricato, sia rispetto al confine che rispetto ai propri edifici, e chiedeva con la condanna l’immediato ripristino dello stato dei luoghi e l’arretramento del fabbricato a distanza non legale. I convenuti si costituivano in giudizio e contestavano la fondatezza della domanda attorea, lamentavano, in via riconvenzionale, che parte attrice aveva illegittimamente immesso delle acque luride nel fosso che attraversava il loro fondo, procedendo altresì ad un illegittimo mutamento di destinazione del fabbricato accessorio, e chiedevano, pertanto, la cessazione sia delle immissioni che della diversa utilizzazione del bene, con il diritto altresì al risarcimento dei danni.
I giudici di prime cure ritenevano fondata la domanda attorea principale ovvero il fabbricato principale dei convenuti non rispettava le distanze dal confine e dalle costruzioni e, quindi, doveva essere riportato a norma mediante demolizione dell’intero ultimo piano, mentre delle domande riconvenzionali veniva solamente accolta l’eliminazione degli scarichi nel fosso che attraversava la proprietà dei convenuti.
I convenuti impugnavano la sentenza di primo grado innanzi alla Corte d’Appello territoriale che, in parziale accoglimento del gravame, fermo restando il mancato rispetto delle distanze del fabbricato principale dei convenuti, stabiliva che ad essere demolito non doveva essere l’intero ultimo piano ma solamente quella porzione dello stesso che violava le suddette distanze.
Avverso tale sentenza i convenuti proponevano ricorso per cassazione. La principale doglianza dei ricorrenti si riferiva principalmente al fatto che, secondo loro, vi era stata un’erronea applicazione della legge e ritenevano, infatti, che le norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici locali ponevano una chiara distinzione tra edifici principali ed accessori che non poteva non essere presa in considerazione con riferimento al rispetto della normativa in materia di distanze. A sostegno delle loro tesi, come già avevano evidenziato nei primi due gradi di giudizio, citavano anche dei contenziosi amministrativi, già intercorsi tra loro e l’originaria parte attrice, che gli erano favorevoli. La Suprema Corte, però, riteneva infondate tali doglienze. In merito all’efficacia del giudicato amministrativo nell’ambito del giudizio civile, gli Ermellini, rifacendosi al consolidato orientamento di legittimità, negavano ogni sua rilevanza, ribadendo che lo stesso aveva valore in relazione ai profili amministrativi ma non anche con riferimento ai rapporti tra privati in relazione alle controversie sul diritto di proprietà (come quelli di specie afferenti le distanze tra costruzioni ) sui quali il giudice ordinario aveva competenza esclusiva. Dato tale presupposto, anche le doglianze inerenti l’asserita distinzione tra costruzione principale ed accessoria, secondo la Corte di legittimità, non aveva alcuna rilevanza: ciò che contava era la nozione di costruzione desumibile dall’art. 873 c.c. ed elaborata dalla giurisprudenza, ossia quella di manufatti stabilmente infissi al suolo. A nulla rilevavano le distinzioni contenute nei regolamenti locali a tal fine, in quanto gli stessi avevano importanza al solo fine della “maggiore distanza” tra le costruzioni che potevano prescrivere in ragione di quanto disposto dal succitato art. 873 c.c.. Secondo il Supremo Collegio, altresì, quand’anche le norme locali avessero contenuto specificazioni in merito alla natura degli edifici volti a distrarli dal novero delle costruzioni così come definite dal codice, quelle stesse norme sarebbero potute essere disapplicate nel singolo caso di specie in quanto illegittime.
Per tali motivi, la Corte di Cassazione confermava la sentenza d’Appello e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese di lite.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express