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Distanze: la disciplina nazionale può derogare il piano regolatore comunale?

VIBO VALENTIA, 29 OTTOBRE - L’ultimo comma dell’art. 9 D. M. 2 aprile 1968, n. 1444 consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa nazionale soltanto laddove le costruzioni siano incluse nel piano particolareggiato o nella lottizzazione convenzionata, riguardando dunque solo le distanze tra edifici inclusi in quella determinata zona. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza n. 25833/2018, depositata il 16 ottobre.

Il caso. Il Tribunale competente rigettava la domanda attorea con la quale l’attore chiedeva di accertare che il fabbricato costruito dai convenuti violava le distanze legali e regolamentari, con conseguente ordine di demolizione e condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti dallo stesso.

L’attore impugnava la pronuncia innanzi alla Corte d’appello territoriale che rigettava l’appello.

Avverso tale sentenza, il soccombente proponeva ricorso per cassazione. In sostanza, parte ricorrente censurava l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ovvero la zona in cui si trovava l’immobile e la relativa normativa applicabile. Secondo la regolamentazione urbanistica comunale era stato esteso a quella zona un sistema di calcolo delle distanze di 6 metri, pur non essendo stati previsti piani particolareggiati. I giudici di secondo grado avevano dunque affermato legittima l’estensione di una normativa derogatoria rispetto a quella legale nonostante la zona interessata non fosse stata oggetto di alcun piano particolareggiato. I giudici di legittimità, nell’accogliere il ricorso, ricordavano che secondo "l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, comma 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica." Ne conseguiva che "l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma fa insorgere l’obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma proprio di applicare immediatamente la disposizione del menzionato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che è stata disapplicata". Quanto all’ipotesi derogatoria contemplata dall’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, che consentiva ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale ove le costruzioni fossero incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, essa riguardava soltanto le distanze tra costruzioni insistenti su fondi che fossero inclusi tutti in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambe facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata. Pertanto, secondo il Supremo Collegio, “il fatto che gli strumenti urbanistici del Comune ….- che possono essere disapplicati ove contrastino con la disciplina di cui al citato art. 9, disciplina che diviene in tal caso direttamente applicabile - consentissero distanze inferiori rispetto a quelle fissate dalla norma, non è sufficiente per ritenere legittima la deroga, ma è necessario accertare, come prescrive l’ultimo comma dell’art. 9, che le costruzioni fossero incluse in un piano particolareggiato, verifica che non emerge da quanto affermato nella sentenza impugnata”.

Per tali motivi la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa a diversa sezione della Corte d’appello territoriale, anche per la decisione circa le spese del giudizio di legittimità.

Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express