Diffamazione a mezzo stampa, carcere ai giornalisti: è ora di dire basta
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FIRENZE, 11 LUGLIO 2013-Chi diffama deve pagare. Su questo non ci piove. Nessuno può pretendere l’immunità giornalistica. L’informazione “sbagliata” per dolo o per colpa deve fare ammenda dell’eventuale danno che arreca all’individuo. Ma il carcere no. Le sbarre per i giornalisti sono indegne di un paese civile e democratico. La detenzione, prevista dal nostro codice penale, per la stampa che diffama stride paurosamente con l’attuale contesto societario in cui l’informazione opera a 360°. Chi agisce in questo settore svolgendo il mestiere più bello del mondo (almeno sulla carta…) deve fare i conti con delle enormi responsabilità. D’altro canto comunicare e informare non sono "robetta". Tuttavia il carcere per i giornalisti, qualora condannati, risulta decisamente sproporzionato e, anche in questo campo, ci pone in netto ritardo rispetto ai nostri partner europei. Si tratta di una disposizione vetusta che il sistema giudiziario italiano ha, naturalmente, facoltà di adottare e, per quanto eccessiva, a finire nel mirino non possono essere i giudici chiamati ad applicare le leggi e quindi autorizzati anche ad aver la mano pesante nelle condanne. La palla passa obbligatoriamente a chi le leggi le fa o può modificarle, ossia al parlamento e qualcosa sembra si stia muovendo.
Dopo la seconda condanna nel giro di pochi mesi del direttore di Panorama Giorgio Mulè (per omesso controllo), lo scottante tema della misura di detenzione per i giornalisti rei di diffamazione a mezzo stampa è tornato prepotentemente alla ribalta. Sono stati presentati vari disegni di legge nella XVII Legislatura alla Comissione Giustizia alla Camera dei deputati, nello specifico su proposta di Enrico Costa (Pdl), Mariastella Gelmini, Renato Brunetta e Deborah Bergamini (Pdl); Mirella Liuzzi e Francesca Businarolo (M5s); Stefano Dambruoso (Scelta civica) e Pino Pisicchio (Gruppo misto, Centro democratico) e Nicola Molteni e Davide Caparini (Lega Nord). Tutti i ddl hanno come comun denominatore l’abolizione della pena del carcere. Una volontà politicamente trasversale che fa ben sperare per un’inversione di rotta.
Nel testo presentato dai senatori Gasparri (Pdl) e Chiti (Pd) a Palazzo Madama (anche il senatore Pd Felice Casson, vicepresidente della Commissione giustizia del Senato, ha depositato un disegno di legge concentrato sulla modifica dell’art. 595 del codice penale sull’abrogazione del carcere) in particolare, si prevede l’introduzione presso ogni distretto della Corte d'Appello dell'istituto del Giuri' per la correttezza dell'informazione, un organismo col compito di tentare in via preventiva una conciliazione tra le parti. Il Giuri' e' composto da 5 membri, dei quali 2 nominati dal consiglio dell'Authority per le comunicazioni , 2 dall'Ordine dei giornalisti, uno, con funzione di presidente, nominato tra i magistrati della Corte d'Appello. Anche sul fronte delle sanzioni il testo propone ora un risarcimento pecuniario dei danni massimo di 50 mila euro per la diffamazione commessa a mezzo stampa. Il risarcimento e' escluso se si e' ottemperato alle rettifiche, salva la rivalsa di danni patrimoniali verificati prima della pubblicazione della smentita. Per quanto riguarda le rettifiche, la proposta di legge richiede ora che queste per essere pubblicate debbano essere ''documentate'' ossia devono essere pubblicate entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono. La pena prevista per la diffamazione a mezzo stampa dal ddl, che di fatto converte il carcere sarebbe non inferiore a 5 mila euro. Non esistono tetti massimi, ma la pubblicazione della rettifica documentata esclude la sanzione. Sarebbe un gigantesco passo in avanti che sembrerebbe in ogni caso tutelare ovviamente anche il diffamato.
Un altro aspetto, presente in vari ddl, che suggerisce un’ulteriore disciplina è quello della querela “temeraria”: una vera spada di Damocle per i giornalisti in considerazione del risarcimento civile (spesso a dir poco oneroso) a cui eventualmente bisogna far fronte. Ciò costituisce una sorta d’incentivo alla querela facile per i presunti diffamati che ha però la conseguenza di costituire un pericoloso freno all’attività giornalistica. A fine luglio il disegno di legge dovrebbe approdare alla Camera dei Deputati. In Commissione giustizia si lavora, si discute, si tenta l’approvazione di un testo condiviso ma l’auspicio è che si faccia in fretta (c’è tempo fino a settembre per modificare la legge) e, quindi, non vorremmo assistere a un nuovo arenamento della riforma come già accaduto in passato.
Quel poco lusinghiero 57mo posto dell’Italia nella classifica sulla libertà di stampa di “Reporters sans frontières” impone una rapida risalita della china. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato che il carcere «ha un effetto deterrente sulla libertà del giornalista di informare con effetti negativi sulla collettività». Appare evidente come l’abolizione del carcere rappresenterebbe non un sospiro di sollievo per una categoria ma un’importante vittoria della libertà per tutti gli italiani.[MORE]
Davide Scaglione