Cronaca
Determinazione e sensibilità. Intervista ad Alessandro Bertolucci
ROMA, 14 NOVEMBRE 2012 - Alessandro Bertolucci è un attore teatrale, cinematografico e televisivo. Nato a Lucca, vive attualmente a Roma. L’attore ha la responsabilità di comunicare, di regalare emozioni, utilizzando nel modo migliore i mezzi che ha a disposizione. Diplomatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1996, nello stesso anno debutta in teatro, sia come attore sia come regista, nel Cyrano de Bergerac. Ha lavorato con importanti registi da Sergio Martino a Carlo Lizzani, da Vittorio Sindoni a Maurizio Zaccaro. Proprio in queste settimane è su Rai 1, diretto da Ambrogio Lo Giudice, in Terra Ribelle – Il nuovo mondo. Interpreta il dottor Tonali; nella prima stagione, era un medico con un passato doloroso che affondava i suoi dispiaceri nell’alcool; in questa seconda stagione, troviamo un dottore rinato. È convinto che il cinema sia il rifugio dalla realtà; un film ben riuscito è un film che invade lo spettatore e che lo rende partecipe delle emozioni. Alessandro Bertolucci è una persona sensibile a ciò che succede in Italia. Il ruolo dei cittadini è fondamentale, possono fare moltissimo per il Paese.[MORE]
Come hai fatto a capire che il mestiere che volevi fare nella vita era quello di attore?
Ho capito che volevo fare l’attore all’età di 18 anni, facendo la comparsa in una serie tv che stavano girando all’epoca nella mia città, Lucca. Il set fu per me una rivelazione, mi sembrò immediatamente qualcosa di magico: le scenografie, i fari, i costumi. Dovevo e volevo farne parte. Sono poi cominciati gli anni dello studio (che non finiscono mai).
Quale fine ha l'attore nei confronti della vita?
Vorrei potere dire che l’attore ha un fine alto, qualcosa di nobile, ma non è così. Quello dell’attore è un mestiere che può diventare un’arte, ma gli attori hanno gli stessi problemi e le stesse urgenze degli altri lavoratori: bollette, affitti, ricerca del lavoro. Il fine nostro, che poi è anche una necessità interiore, è forse quello di comunicare, di emozionare, di trasmettere concetti e sensazioni; questo implica una responsabilità nei confronti di chi ti ascolta, di chi ti vede, così il messaggio che decidi di trasmettere diventa una scelta importante. Hai un mezzo di comunicazione a disposizione, dipende da te l’uso che ne fai.
Sei nato a Lucca, ma vivi per lavoro a Roma, hai qualche rimpianto?
Rimpianti non ne ho. Sento a volte la mancanza della mia città in quanto luogo della mia infanzia e dei miei affetti. Venendo da un piccolo centro, ho qualche problema con le dimensioni di Roma. Mi disturba la folla, il caos, il rumore e lo smog, così spesso rimpiango una città più a misura d’uomo. Credo tuttavia che riuscirò a superare questo ostacolo: sto pensando di andarmene da Roma.
Diventi popolare ai più grazie alla serie televisiva Un medico in famiglia, in cui interpreti Max Cavilli, come ti sei trovato con il cast e per quali motivi non ne fai più parte?
Un medico in famiglia è una serie storica di Rai 1, una macchina produttiva perfettamente funzionante in ogni suo meccanismo, cast incluso. Interpretare il ruolo di Max Cavilli (pediatra e clown di corsia, compagno di Oscar) è stato molto divertente, gli attori di questa serie sono tutti molto simpatici e affiatatissimi. Il clima durante le riprese è rilassato e gioviale e questa bellissima atmosfera ha reso la mia decisione di lasciare la serie molto difficile. Ho deciso io di non continuare Un medico in famiglia, perché ritenevo che non ci fosse una crescita del personaggio di Max. Avrei voluto vedere uno sviluppo maggiore del personaggio. Era scritto che dovessi fare altro, a quanto pare.
Sei da qualche settimana in tv, protagonista della fiction di successo Terra Ribelle – Il nuovo mondo, perché hai deciso di fare nuovamente parte del cast?
Quando fui scelto per fare il Dottor Tonali feci salti di gioia perché amavo il personaggio del dottore ubriacone con un passato doloroso alle spalle, era meravigliosamente dannato e mi offriva l’occasione di mettermi alla prova con un personaggio che non avevo mai fatto prima, in più adoro i film e le serie tv in costume. Come facevo a dire di no? Quando poi ho saputo che sarebbe stata realizzata la seconda serie, in un primo momento ho temuto un appiattimento del personaggio (a volte capita) che era così ben delineato nella prima serie. Fortunatamente mi sbagliavo, il dottor Tonali era rifiorito e dunque, seppur sempre lui, era un uomo nuovo. La sfida era troppo interessante: dare di nuovo voce e volto a un personaggio che deve essere riconoscibile e collegabile alla scorsa stagione ma con rinnovate energie, nuovo look, bagaglio di esperienze accresciuto. Il risultato di mesi e mesi di lavoro è su Rai 1 proprio in queste settimane.
Perché questa serie televisiva è così seguita secondo te?
Terra ribelle è seguita perché riesce a far sognare, a far dimenticare i problemi quotidiani. È la versione moderna e televisiva del tradizionale romanzo popolare. Questa seconda serie poi ha aumentato il livello di azione e spettacolarità offrendo paesaggi di una bellezza unica e scene d’azione ad alto tasso adrenalinico. L’amore non manca mai, il dramma è nel codice genetico della serie, gli ingredienti per una serie di successo ci sono tutti.
Attualmente la televisione italiana offre prodotti di qualità?
La televisione italiana, ma principalmente la RAI, offre prodotti per tutti i gusti. In tv negli ultimi tempi ho visto molte serie e film tv di qualità sopraffina. Il pubblico ha veramente l’imbarazzo della scelta, cosa che non succedeva fino a pochi anni fa. Ora sorge un problema: per anni, a mio avviso, il pubblico è stato abituato ad un certo tipo di programmi che io non esito a definire spazzatura; mi riferisco principalmente ai reality, alle trasmissioni tipo “Uomini e donne”, ma anche “Jersey Shore”, credo di avere inquadrato il genere. Il pubblico assuefattosi a questo tipo di prodotto fatica adesso ad accogliere il film e/o la serie tv che richiede un impegno maggiore, una visione che non sia passiva. Da qui il risultato non sempre incoraggiante di alcune serie o film tv. La colpa non è imputabile al pubblico. Come per il cibo, anche il gusto al prodotto televisivo di qualità va affinato; questo può avvenire solo con scelte produttive coraggiose e lungimiranti.
Cos’è per te il cinema?
Il cinema è il rifugio dalla realtà. Vado al cinema per sognare o per riflettere, per piangere o per ridere, ma soprattutto vado per uscire per qualche ora dalla realtà in cui vivo. Io testo la qualità del film mentre lo guardo, ne metto alla prova la persistenza, come i profumi: se esco dal cinema e continuo a sentirmi nel film allora è un film ben fatto, se esco e ricomincio subito a pensare alla mia quotidianità, allora il film, per me, non è niente di eccezionale. Come attore, per me il cinema è lavoro esattamente come il teatro, la televisione e il doppiaggio. Sono tutti parte della mia professione, così deve essere e non dovrebbe essere altrimenti.
Cosa consiglieresti a quei giovani che vogliono intraprendere la carriera della recitazione?
Consiglio sempre di rimboccarsi le maniche! Studiare, vivere la vita tenendo occhi e orecchie aperti, girare il mondo, studiare le lingue e farsi un esame di coscienza e capire se si è interessati alla recitazione, se si ha questa passione o se si sta ricercando solo la notorietà. Sono due cose profondamente diverse.
Il ministro Grilli ora assicura che verranno garantite le risorse per i malati di SLA, sclerosi laterale amiotrofica. Il governo finalmente si è svegliato. Cosa pensi a riguardo?
Il governo Monti ha affrontato una situazione economico-finanziaria disastrosa, ha fatto cose che condivido e cose, secondo me, sbagliate. Non sono un tecnico e neanche un politico, ma penso che adesso sarebbe il momento di mostrare agli italiani il lato equo del percorso politico fatto in questo ultimo anno. Ci sono stati i tagli e l’aumento delle tasse, forse adesso dovremmo vedere gli investimenti nel pubblico, gli incentivi all’occupazione. Credo sia il momento di vedere e capire che ciò che paghiamo va anche in servizi al cittadino e non solo a riempire quella voragine che è il nostro debito pubblico. Forse il governo dovrebbe pensare ad una patrimoniale, come già in altri Paesi è stato fatto.
Martedì 6 novembre al Fatto Quotidiano è uscito un inserto speciale intitolato: “Senza Stato la mafia sarebbe già morta”, cosa ne pensi?
È un’affermazione provocatoria. Senz’altro vera, ma come è altrettanto vero che senza Stato anche noi saremmo già morti, come nazione almeno. La trattativa Stato-mafia risale all’unità di questo Paese, questo non significa che dobbiamo adeguarci, significa che necessitiamo di cambiamenti radicali non solo nella nostra classe politica ma nelle nostre teste di cittadini. Siamo noi che abbiamo avallato, attraverso i nostri voti, questo tipo di comportamenti, dobbiamo ritrovare un senso civico che si è perso chissà quando.
Il magistrato Antonio Ingroia parte per il Guatemala per combattere il narcotraffico internazionale su incarico dell’Onu. Lascia Palermo perché il suo compito è finito, lascia però nel capoluogo palermitano un pezzo di cuore e un pezzo della sua vita. Era davvero necessario lasciar partire un magistrato così fondamentale nelle indagini sulla trattativa Stato – mafia?
Non credo sia stata una scelta avventata, ritengo invece che Ingroia possa fare tanto anche in altri settori della lotta alla criminalità. Questo darà a lui altri strumenti e conoscenze che sicuramente verranno sfruttate anche in Italia. Non dimentichiamo che il narcotraffico è una delle attività della mafia. Voglio poi essere ottimista, voglio pensare che altri abbiano raccolto il testimone e stiano portando avanti anche meglio le indagini. Se così non fosse, noi che ci stiamo a fare? Ci sono persone comuni che, volendo, possono smuovere mari e monti, si chiamano cittadini e possono fare tanto, tantissimo per il nostro Paese.
Giulia Farneti