Resilienze

Dell'indignazione la colpa: la sberla del governo Renzi alla scuola pubblica italiana

26 GIUGNO 2015 - Diciamocelo francamente, nell'immaginario sociale collettivo, i docenti italiani nel corso degli ultimi anni sono apparsi agli occhi di molti, esposti, deboli, inconcludenti, come dei “semi deficienti” talvolta incapaci di intendere e di volere; nemmeno in grado di capire – ci volevano convincere- finanche il valore innovativo e costruttivo di proposte, decreti legge, approvati a botte da orbi, con maggioranze politiche tutte da chiarire; in un paese che con suo grave dileggio avvilisce e fustiga da tempo immemore cultura e bellezza. [MORE]

Deboli, talvolta troppo ignoranti, piccoli e impalpabili intellettualuncoli del tantum docere possum, sempre a inseguire i modi e le forme consone alla fannullosagine, “povere marionette” manovrate nel migliore dei casi, da organizzazioni più o meno consistenti.

Così considerati da troppi, i docenti italiani come loschi figuri in cerca di Identità contigue, si sono nascosti e barricati nei loro volti anonimi e nei disincanti, per sfuggire alle pene delle loro mal comprese velleità, di poter concorrere a elevare un paese in ginocchio.

Oggetto del dileggio e della critica, il docente italiano considerato debole, meschino e inutile, ha preso in pieno viso lo schiaffo del governo Renzi, che ha violentato e oltraggiato, il coraggio di tutti quei docenti italiani, dalla considerevole intelligenza sociale di tutto riguardo; e se ad altro non dovevano essi servire, almeno per elevare la qualità dell'asfittico dibattito culturale del paese, sicuramente -anche a questo- hanno concorso, come loro non unico merito. Frequentemente disapprovati da genitori competitors, come da fette del perverso sistema economico in pieno delirio di sé, inclinato alla svolta liberista del lavoro, a quella plebiscitaria sulla democrazia; ora anche a quella regressiva della scuola; i docenti italiani, in odio ai loro capò, hanno subito l'oltraggio più affilato, in uno dei due rami di un parlamento fantoccio di sé stesso. In molti, anzi troppi si sono a loro messi di traverso, ed hanno combattuto ad armi impari e taglienti; depotenziati, come solo loro sanno di essere, nei giochi sporchi di questa cieca turpe politica, che neanche ne ha riconosciuto lo spessore, né quella cultura giudicata improba, per le forme del dissenso e del dibattito.

Ragione più che sufficiente per cui dar addosso, alla vil razza dannata, forse per colpire i sindacati stessi - che si credeva li possedesse tutti questi scellerati- nell'etimo greco del Sin -insieme- e Dikè -giustizia, che un significato diverso proprio non hanno saputo immaginare. Per gli imperscrutabili, difficili da interpretare, “insieme per la giustizia” si voleva affermare: tutela di interessi dei lavoratori della scuola, della libertà di opinione di questo paese, e sin anche della salute di questa turpe razza troppo meschina, per quegli occhi troppo austeri, che invece il male in essa hanno inteso di vedere.

La “riforma” della scuola italiana in fondo ha fatto questo, ha estirpato il male alla radice, pur sinistra del fallimento, che di qui troppo ha concesso: la distruzione delle opportunità di vita professionale, la nuova disoccupazione, ai suoi malanni, alla miseria sociale, alla disperazione di un sistema scolastico trasmutato in economico, che non di questo abbisognava.

Hanno annientato - senza colpo ferire- anche i migliori, i più esperti e coraggiosi, gli intraprendenti o forse i più“cretini” quelli meschini che sommamente si sono sempre addossati la croce del calvario civile. Sono indignata è vero, perché per essere docenti ci vuole stomaco, anzi anche qualcosa in più che solo stomaco. La scuola italiana ha mille pecche e difetti, ma la presunzione, l’ignorante saccenteria, l’approssimazione velleitaria, e il disprezzo per le competenze e professionalità altrui, che questa politica ha massacrato con un'orribile “riforma” me la rendono del tutto inaccettabile.

Legislatori semi analfabeti e prossimi solo all'incultura, hanno preteso di decidere delle sorti della scuola di stato, pur non avendo con essa avuto mai a che vedere, da più e bene neanche con i problemi della scuola stessa; nemmeno con i docenti quelli -veri- gli autentici docenti della Scuola pubblica italiana.

Con la superbia e l'accidia, hanno violentato la società italiana in un solo colpo, con decisioni neanche tecnocratiche, ma quelle del credito in parola, sentendosi al riparo da ogni sospetto, che l’opinione pubblica potesse smascherarli, tenuta a bada con inquietanti diversivi, a tutto torbido e meschino vizio italiano, con un attaccamento cieco ed ostinato, per una politica furba e maledetta, che il vizio dell'illiberalità proprio non perde.

Il carattere scandaloso del <<gran rifiuto>> è presto detto: la trasformazione in zombie dei docenti italiani – secondo loro- ha espresso il significato contiguo di conferire alle annose insolvenze dello Stato verso i propri docenti, soprattutto quello di Non riconoscerli come intellettuali di questo paese, perché a tanto dileggio, la parvenza di una questione di diritto privato, da deferire solo ai tribunali, può in ogni modo sempre legittimare la causa -solo- della mala giustizia tutta italiana, che come quella della malasanità, crea caos generativo de motu proprio, per distrarre all'occorrenza ogni oscuro arcano di certa consistente falsa politica di una sinistra, da tempo anche essa compromessa ed invischiata nel gioco meschino solo dell'<<occupa poltrona>> .

In tal modo risulta sempre più facile scrollarsi e negare qualsiasi sconsiderata responsabilità politica, che il populismo all'occorrenza assolve sempre con pronta disponibilità, con l'uso di pure operazioni di magia politica, espressione del desiderio turpe di governi illegittimi e solo di facciata, che non rinunciano in nessun modo far uscire allo scoperto -se non dietro la maschera- il vero volto dei politici nostrani, ignoranti e di bassa bottega.

Se non così chiamati a rispondere per loro merito, del fallimento certo che la riforma di qui a poco genererà, portando alla distruzione opportunità di lavoro, occupazione, con grande incremento delle meschinità sociali, e non ultima la disperazione professionale e civile non solo dei docenti, ma di un paese travolto da tanto scempio.

Di tutti quei docenti che per professione tentano da anni e anni di catturare solo l’attenzione, per tenerla per ore ed ore legata a sé e non solo agli abulici giovani di misere speranze; brutale errore di ottimismo, non più il risveglio dall'incubo infame del tradimento.

Proporne dunque la canonizzazione terrena di tali illusionisti di speranze, appare perciò cosa buona e forse più giusta, in dileggio – ora mi appare più consono- di quei parlamentari che l'hanno votata questa “riforma” oscena, che riduce i docenti a schiavi salariati, in genere sottopagati e precarizzati a vita, trasmutati in forza lavoro ricattabile e senza libertà alcuna, dalla cultura povera e frastagliata, al meglio segmentata e tecnicistica, che avrà come obiettivo, di formattare individui come monadi terrene, incapaci di pensare in modo critico e di immaginare, quella che in un colpo solo è la squallida, nuova immagine povera di scuola/azienda, le cui uniche competenze tecniche, la rendono più simile ad una fabbrica di saponette e non più a quella delle conoscenze.

Provocatoriamente chiamare allora in cattedra certi parlamentari che fanno i “gargarismi” con le riforme, più deleterio può far apparire le loro prodigiose abilità di stolti; tutti parlamentari di grido, in una maggioranza di governo del tutto inconcludente alle necessità di questo paese.

Spiegassero lor signori ai nostri alunni diciassettenni del terzo millennio, la storia del pentimento dell’Innominato, e quella della virtù felice di chi pur restando assai sereno, ben presto scoprirà con l'onere della prova che a questo paese per nulla, occorre il beneficio di questo dileggio offensivo, dell'intelligenza e del diritto di equità e giustizia, non serve alla democrazia né alla civiltà di questo paese.

Ai parlamentari fragili e delicati di stomaco -se ve ne sono- così come a quelli che per intenderci hanno sviluppato ben altri peli, e sono convinti ancora della bontà di questa riforma, offro di far svolgere in una mesta occasione il compito -certo meno gravoso- che svolgono gli anonimi docenti senza volto, quelli che sbatterete presto fuori dai ranghi e che -è menzogna assumerete tutti in egual diritto a quello dei loro colleghi- a loro ed anche a tutti i miei studenti vorrei spiegaste, che la filosofia come la storia, sia pure quelle delle catarsi, fosse offerta come lezione convincente che gli renda il merito di figli prediletti di questo paese e non carne da macello, dall'istinto predatorio di un tempo infelice, in cui abbiamo già iniziato ad allevare serpi dentro ai nostri fienili.

Vorrei spiegaste inoltre con molta convinzione, come servire la scuola pubblica di questo paese, da funzionari dello stato senza esitare almeno, della consistenza del diritto e della giustizia, per persuaderci che studiare l’aoristo, se pur non abbia nulla a che vedere con la politica, articoli però in giusta fede, la convinzione massima che a far cultura in questo paese, non saranno più chiamati i loro meschini insegnanti, pagati poco e male -certo più dei cicisbei- coniati più che per servire da servi sciocchi a corte, come dei pagliacci duri a scomparire.

Spiegategli ancora per favore, che più che alla coscienza in nessun caso alcun docente dovrebbe mai rispondere a padrone alcuno, per pura sola fede nella conoscenza necessaria, e alla libertà d'apprendere così come a quella dell'insegnare, dell'ignominia di chi crede buono e savio colui che risponde, a ben altro consenso. Nel disgraziatissimo paese che è troppo vile, per arrestare e fermare certi mandanti di tutte le stragi, memoria e storia di un paese ancora infelice, porre la fiducia a sì fatti argomentazioni, non è il cupo risultato della lotta allo spirito corporativo di un paese, ma è solo la chiave per comprenderne la deriva della propria povera economia. La legge di spesa che viene portata in parlamento senza il parere della commissione, e la richiesta della fiducia su nove deleghe, sarà allora un’occasione per vedere, se il presidente della repubblica, sarà il garante della costituzione, che tutti invocano solo per sentito dire.

A chi però chiedesse ancora di comprendere chi sono gli insegnanti italiani, qual è la funzione sociale che essi svolgono, mi permetto non senza falsa ed umile modestia, di rispondere: <<Io ho ben chiaro chi sono io docente, e tale intento chiarire per dignità professionale, giammai per condizione fine a sé stessa; se non per riconoscere alla resistenza la virtù dell'intelligenza e del coraggio >>. Se pure oggetto dello scherno, i docenti italiani sono ben temprati ai tempi delle vacche magre e giammai grasse, così come ai turpi ricorsi storici di certa storia oscura, che ha reso questo paese quello che è, non per errore, ma solo per lucida determinazione di assecondare il vacuo e l'inconsistenza come vangelo, negando con falsità e viltà, che il dispensare metafore, con smarrimento del senno ed intontimento dei capi, saprà ben presto essere svergognato, per ritrovarsi senza alcuna gloria.

Adesso che ogni gioco è definito e sarebbe forse più facile tacere, invece dico: Forse il finale lo avevano già scritto, e noi allochi a crederci; ancor prima d'iniziare sul tira e molla, la fiducia che ne è stato il jolly stregato, ed ha permesso solo di chiarire che non abbiate più a dire che la scuola è di tutti ed è anche vostra, Ebbene, no. Non lo è. Certo non lo è mai stata, e men che meno adesso, sebbene cosa vostra l'abbiate voi considerata.

La scuola pubblica è del paese, e sarà sempre sentita dagli insegnanti e dagli studenti, che la costruiscono e reggono; mandata avanti anche coi tagli finanziari scellerati, le false ‘riforme’ tanto sbandierate, che come questa sono goffe e malate; e non le impediranno -per pura considerazione della civiltà e del progresso umano- ancora di cadere in basso e poi sempre rialzarsi, a testa alta e fiera con lo stile degli incassatori.

Abbiamo sopportato: mancanza di risorse, di rispetto e di attenzione; la petulanza di untori semianalfabeti, che hanno preteso di sapere quanto fosse buono il merito di figli unici, meravigliosi e mitici; le accuse all’ingrosso degli esperti della buon ora, che trovano statistiche indimostrabili di arretratezza ed oscurantismo. Le critiche blateranti sugli insegnanti, tacciati d'incompetenza oziosa, non sono state rimandate tutte al mittente, ciò che è esclusivo ed unico, un ruolo, una funzione non rincorreranno ancora l'essere banalizzate, svuotate. Insegnare vorrà forse anche dire ammortizzare i colpi del fetido squallore, non solo per difetto di considerazione, né per accreditarsi ai miseri. Le storie delle nostre scuole, si scrivono anche nelle vite di professionisti attoniti, dato incontrovertibile, di successi ed insuccessi, di ripartenze dei calvari sociali e professionali.

Invece sull'utilità sociale del ruolo infelice della docenza, suggerirei invece l'ideazione grottesca di un concorso di idee fra i politici “accreditati” -destra o sinistra non ne farà differenza- che però non sia manchevole l'originalità e stravaganza, per armonizzare ed abbellire i dati controvertibili della novella formazione prossima ventura, a cui sarà richiesto di svezzar ben presto i suoi nuovi docenti.
Per essere docenti bisogna rendere abili alla vita, e non solo a quello; per quella di politici inetti e piccoli, basta invece il mercimònio dell'incoerenza.

Angela Maria Spina