Salute

DCA: Anoressia, un modo di chiedere aiuto. Intervista all'autrice Elisa Fagioli

BOLOGNA, 6 SETTEMBE 2013 - Ce la si prende con il cibo quando ti scoppia il cuore ed i legami vanno in frantumi, ce la si prende con il cibo perché non ha un volto, non ha voce, resta solo lì a subire ciò che ti accade dentro. È l'urlo silenzioso dell'anima, quando una situazione familiare ti ha annientato o quando là fuori è troppo dura, quando rendi invisibile il corpo per essere "vista". [MORE]

«Corpo,cibo, peso.. sono solo sintomi di un malessere ben più profondo che risiede nell'anima». È quanto ci racconta Elisa Fagioli, autrice del libro "Il peso di una Libellula", libro nel quale racconta la lotta contro quella che lei chiama "la bestia", ossia l'anoressia.

Qual è stato il sentimento che la ha smossa talmente tanto, che le ha permesso di guardarsi così profondamente dentro e tirare fuori tutto quello che c'era per inciderlo in un libro?

«Essere malati di DCA e dover affrontare un percorso duro e drammatico come il mio non è facile. Durante i mesi di ricovero in ospedali e quelli successivi passati in clinica, non era facile per me far capire agli altri il mio dramma interiore... Solo nel foglio bianco trovavo un amico in grado di comprendermi. Lui accettava il peggio di me, senza replicare. Mi ascoltava e con lui potevo essere sincera senza sentirmi giudicata. Ho cominciato a scrivere tutti i giorni. Una sorta di Diario Live dall'ospedale. Rileggendo i miei scritti mi sono resa conto di quanto potevano essere utili .. utili a far sentire meno sole le ragazze ed utili a far capire a chi sta intorno a loro il dramma dell'anoressia e dei disturbi alimentari in genere».

Le andrebbe di parlarmi di quella che lei definisce "la bestia"?

«Certo, la "bestia" non è altro che una richiesta di aiuto e di amore. I Disturbi alimentari,non sono un capriccio o un desiderio di essere magri e belli, né tanto meno di entrare in una taglia 40. C'è molto di più e quel di più è spesso da ricercare nella famiglia, in un passato troppo duro da digerire o in un presente doloroso da sopportare. È un vortice autodistruttivo, la malattia psico-somatica per eccellenza. Manipolando il corpo, il peso e l'alimentazione si tenta di controllare una vita in realtà che non ci appartiene,una vita fatta di sofferenze represse e dolori non manifestati. È un modo di chiedere aiuto, di far capire agli altri che abbiamo bisogno di amore e attenzione, è un rincorrere un modello di perfezione tale da essere amate e apprezzate».


C'è una via d'uscita da questo "inferno"?

«Guarire è possibile,ma è necessario capire che da soli non ce la si può fare. Occorre affidarsi a delle equipe mediche specializzate. Occorre rivolgersi alle Asl e fidarsi dei medici psicoterapeuti e dietisti, solo loro possono darci una mano ed eventualmente indirizzarci verso cliniche specifiche. La libertà non è impossibile da raggiungere. Dobbiamo solo avere il coraggio di non vergognarsi delle nostre fragilità e non considerare una richiesta di aiuto un atto di debolezza, perché in realtà è un atto di estrema forza e di amore per se stesse».

La figura di specialisti può aiutare, ma anche i genitori hanno un ruolo chiave non crede?

«I genitori sicuramente dovrebbero stare vicini ai loro figli, sostenerli e farsi "spugne" di tutto il dolore che racchiude dentro di se il proprio figlio. Dovrebbero mettersi in gioco e sottoporsi anche loro a psicoterapia familiare, perché come ho detto prima, la malattia non è mai strettamente legata al solo individuo, ma all'ambiente in cui esso vive. Se un figlio non si vuol far curare è importante che i genitori comunque si affidino ad un terapeuta che potrà consigliar loro il modo migliore per aiutare e coinvolgere il proprio figlio!».


I DCA restano quindi un linguaggio interiore, un tunnel profondo dentro il quale un numero ingente di adolescenti sprofonda, ma lasciare che le debolezze ti scavino dentro sino a mostrare che la pelle sono il campo minato dove lotti contro le tue stesse guerre, significherebbe perdere. Perdere ancora di più di quanto si è perso. Bisogna partire da se stessi, diventare tetto, certezza, diventare tutto ciò che è stato asportato. Deve essere una mutazione che parte dalle ceneri e conduce alla vita.

(immagine da facebook.com)

Rossella Assanti