Parola e Fede
Dalù e Luca: “La nostra amicizia è un miracolo che dona speranza”
Dalù e Luca: “La nostra amicizia è un miracolo che dona speranza”. Una storia che ci insegna come un’amicizia in Cristo possa salvare la vita
Dalù, 56 anni, è un giornalista cinese che conduceva una trasmissione radiofonica alla domenica mattina a Shanghai. Il 4 giugno del 1995 ha avuto il coraggio di parlare di quanto avvenuto 6 anni prima in piazza Tiananmen. La notte fra il 3 e il 4 giugno 1989, l’esercito cinese sgominò quella piazza a Pechino, dove diverse migliaia di studenti si erano radunati pacificamente per la democrazia e contro la corruzione del regime. Il movimento si era originato nell’aprile 1989 ed era cresciuto fino a riunire almeno un milione di persone nella sola capitale cinese. Assembramenti simili erano avvenuti anche in altre città della Cina. Secondo le stime di organismi indipendenti, nella notte del massacro sono morte dalle 300 alle 2mila persone, stritolate dai carri armati o colpite dai fucili mentre fuggivano. La dittatura cinese proibisce severamente da 31 anni di commemorare l’evento attraverso controlli delle notizie, censura, prigione, torture fisiche e piscologiche, esecuzioni e morti.
La voce di Dalù che ricordava il 6°anniversario del massacro durante la diretta radiofonica fece scalpore: «Fu una follia, ma ritrovai la mia dignità umana» dice oggi il giornalista. La trasmissione venne immediatamente sospesa e cancellata dal palinsesto. Dalù venne licenziato in tronco dopo essere stato costretto a scusarsi. Gli dissero che avrebbe dovuto anche ringraziare il regime per avergli risparmiato la vita. Il giornalista fu condannato all’emarginazione in patria, con la segnalazione nel suo fascicolo personale che lo rende uno scarto della società. Per lui non è disponibile alcun impiego. La situazione è peggiorata con il suo battesimo cattolico avvenuto nel 2010: il controllo costante dell’attività religiosa si è aggiunto alle intimidazioni ricevute da Dalù che, talvolta, divengono minacce alla sua vita. Nel settembre 2019, il giornalista decide di fuggire e arriva in Italia. Dopo alcuni giorni di preghiera trascorsi in Vaticano, arriva nelle Marche terra d’origine del sacerdote gesuita Matteo Ricci che portò il cattolicesimo in Cina più di 400 anni fa.
Dalù venne notato in chiesa, nella frazione di un paesino di montagna delle Marche, dove si mimetizzava tra le poche anziane presenti alla funzione. Il caso venne immediatamente segnalato da un giovane del posto, incuriosito dalla presenza di un fedele di Shanghai nel borgo, ad uno dei pochi che potevano interagire con l’orientale. Si tratta di Luca Antonietti, 36 anni, avvocato del foro di Madrid formatosi presso l’Università degli Studi Internazionali di Shanghai. Ha vissuto proprio nella metropoli cinese nel 2018 ed ha frequentato la comunità cattolica. La sua famiglia d’origine si trova nelle Marche ma lui ha sempre viaggiato molto. Non è scontato trovarlo in Italia ma la presenza dei suoi affetti, alcuni rapporti professionali e la sua devozione per la Beata Madre Speranza di Gesù e per il Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza lo trattengono sempre più frequentemente nel bel paese. Certo un cinese in chiesa in un borgo di poche anime non può passare inosservato, specialmente se non si era mai visto. L’incrocio dei destini di Dalù e Luca Antonietti è il frutto di una serie incredibile di “dioincidenze” che i due chiamano «la volontà del Signore». «Sì, il nostro primo incontro nelle Marche del settembre 2019 è stata una vera folgorazione. – mi racconta Luca - Dalù viveva in una città di circa 30milioni di abitanti ed entrambi, senza conoscerci, partecipavamo insieme alla Messa celebrata dallo stesso sacerdote cinese quando mi trovavo a Shanghai. Avevamo anche una conoscenza in comune».
Il giornalista era disorientato e solo. L’avvocato si dedicò totalmente al caso svolgendo un imponente lavoro di documentazione e ricostruzione probatoria delle persecuzioni sofferte. Le difficoltà di comunicazione non mancavano ma i momenti di scoramento sono stati superati dalla recita del Rosario e dai frequenti pellegrinaggi alla Santa Casa di Loreto. Inoltre Dalù è probabilmente il primo pellegrino cattolico cinese ad aver raggiunto il Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Il giornalista ha trovato grande conforto nello sguardo materno che ha potuto osservare meditando davanti ai ritratti della Beata Speranza di Gesù. Lei stessa, il 14 luglio 1960 scrisse: «Io vi assicuro che non verrà la fine del mondo prima che la devozione all’Amore Misericordioso fosse arrivata all’ultimo confine della terra, fino a quando tutto il mondo non avrà conosciuto questo amore di padre che Dio ha per tutti noi».
Luca, da parte sua, non ha solo fornito assistenza legale, ma ha anche dato ospitalità. Dalù è diventato uno di famiglia ed ha ritrovato la dignità perduta. Inoltre, il ricordo di suo padre – un uomo perseguitato e pestato davanti ai figli in Cina – si è ravvivato nel rapporto con il padre di Luca. «La nostra amicizia – afferma il giornalista - è come un giglio perché è raro da trovare a settembre nelle montagne ma il suo stelo è resistente ed è puro. Tutto era stato deciso molto tempo prima che noi nascessimo».
La buona notizia è che Dalù ha ottenuto lo status di rifugiato in Italia e dopo 5 anni di residenza diventerà italiano. Sta studiando la lingua e per ora conosce solo le preghiere. Continua, per sicurezza, ad usare lo pseudonimo «Dalù» che utilizzava alla radio. Non può rivelare il suo nome cinese per paura di vendette del regime sulla sua famiglia in Cina. Il suo caso è monitorato dal Segretariato Generale di Amnesty International a Londra. Il giornalista terminerà presto il suo libro di memorie sulla sua vita coraggiosa tra persecuzione e speranzaperché - come ricorda sempre – «non bisogna mai vergognarsi di raccontare la verità».
Il giorno in cui gli è stato notificato il riconoscimento dello status di rifugiato, come segno di gratitudine per l’Italia e per la sua gente, Dalù ha esposto dal balcone un tricolore che la madre di Luca aveva cucito tanti anni fa. «Grazie ancora Italia – conclude - questa ora è la mia casa».