Interviste

Dall'anoressia si guarisce? Parla la scrittrice Margherita De Bac

LECCE, 18 MAGGIO 2014 - Nel mondo dei disturbi del comportamento alimentare si entra in punta di piedi, si cammina su anime fragili, appese ai fili del corpo dove il cibo sono tutte le parole non dette e poi, talvolta, vomitate. La realtà dei disturbi del comportamento alimentare è una lama a doppio taglio, guerre combattute su di un corpo che diventa arma e vittima e forse attende che qualcuno blocchi quelle cannonate gettate contro se stesso. Margherita De Bac, giornalista del Corriere della sera, ha provato a sondare i muri di questo mondo con il suo libro “Per fortuna c’erano i pinoli”. Noi abbiamo provato a seguirla in questo “viaggio” e l’abbiamo intervistata.


"Per fortuna c'erano i pinoli" è il titolo del suo libro, il quale va a scavare dentro una realtà forte quanto fragile. Cosa l'ha spinta a togliere i veli di "vergogna", di tabù, che troppo spesso coprono queste realtà e donargli parole e vita?

Il libro nasce in modo spontaneo e il fatto di occuparmi di anoressia è stato casuale. Una ragazza mi ha consegnato il diario dove racconta la sua esperienza e ho utilizzato questo spunto per costruirvi attorno un romanzo. Un romanzo leggero e delicato dove, nonostante il tema, c’è molto sorriso e molto ottimismo. Sono una giornalista, una cronista. Non voglio insegnare niente a nessuno. Il mio obiettivo era divulgare un problema molto diffuso.[MORE]

I pinoli sono piccoli, gracili, ma racchiusi in una "dura corazza". Direi che forse è proprio questo il fulcro del disturbo alimentare, l'anima e il corpo della protagonista Domitilla. Cos'ha voluto rappresentare con questo frutto che gioca la sua buona parte nel libro a partire dal titolo?

I pinoli vengono raccolti dalla protagonista del libro durante il suo ricovero in una clinica di cura dei disturbi del comportamento alimentare. Sono il pretesto per chinarsi e fare movimento e sono un aiuto a superare quei momenti bui. Io non sono un medico, non ho scritto da tecnica, ho voluto divulgare in modo semplice e arioso un tema difficile.


Domitilla instaura un legame forte con la sua amica, la quale diventa quasi un'ancora di salvezza. Secondo lei che ruolo svolgono gli affetti più cari di chi ha un disturbo alimentare? Pensa che basti l'amore, l'attenzione di una sola persona a colmare i vuoti, a placare le insicurezze che generano un DCA, a fare del cibo un nutrimento necessario e non un nemico?

L’amicizia e i sentimenti non bastano ma sono importanti soprattutto se riguardano persone estranee alla famiglia con le quali è più semplice aprirsi. Nel libro la protagonista si innamora di un ragazzo e stringe amicizia con una donna che potrebbe essere sua mamma. Sono le chiavi del romanzo e della <guarigione> e scrivo guarigione tra virgolette perché dalla anoressia non si guarisce mai, si trova una forma di convivenza più che accettabile se si interviene in tempo.

Il cibo durante il percorso di guarigione viene visto come "medicina", viene prima di tutto, prima dell'amore di cui una persona necessita, prima della riappropriazione di una pace interiore. Secondo lei è realmente quello il punto di partenza, la medicina primaria?

Il cibo è, da quello che ho capito come profana, il pretesto su cui riversare il senso di inadeguatezza profondo di cui le ragazze con questi disturbi sono vittime. Manca in loro autostima e fiducia in se stesse. Non mangiare è una prova di forza, una specie di riscatto dal senso di nullità che le attanaglia. Il cibo è solo uno strumento per sfogare l’insoddisfazione e l’insicurezza interiore. Pensavo che le ragazze con anoressia e bulimia fossero fatte con lo stampino. Tutte uguali in partenza. Invece è la malattia a stereotiparle. Quando il disturbo si dissipa il loro carattere torna a prendere il sopravvento e così pregi e difetti che, ripeto, la malattia ha cancellato.

Sulla guarigione definitiva da un disturbo alimentare pareri contrastanti continuano a scontrarsi. C'è chi insinua che dal DCA si può guarire del tutto, chi invece è titubante, sa che sarà qualcosa con la quale bisognerà convivere per tutta la vita, una minaccia perenne. Lei cosa pensa in merito?

Posso solo dire che ho conosciuto diverse ragazze con questi disturbi. Quelle che hanno affrontato subito il problema e hanno espresso il loro disagio ce l’hanno fatta, senza danni. Quelle che invece si sono tenute il disagio per sé e hanno lasciato cronicizzare, non per loro colpa ma per l’incapacità dell’ambiente a intervenire, hanno recuperato una buona qualità di vita e sono riuscite a fare pace col cibo ma hanno mantenuto un pessimo rapporto con se stesse. 

(immagine da clandestinoweb.com)

Rossella Assanti