Politica
D'Alema, no ai matrimoni gay. È polemica
ROMA, 14 SETTEMBRE 2001 - «Chiedo scusa se ci sono stati riferimenti rozzi al dettato costituzionale e se ho creato un equivoco: non ho mai inteso dire che la Carta proibisce il matrimonio gay, cosa che per altro non urta in nulla la mia sensibilità. Il Partito Democratico sta elaborando una proposta per allargare i loro diritti e non è corretto che io dall'esterno li bombardi mentre discutono. Siamo l'unico partito italiano che lo fa. E siamo un partito complesso». Con queste parole Massimo D'Alema è stato costretto a cospargersi il capo di cenere e recitare il mea culpa di fronte ad Arcigay e movimenti lgbtq italiani nei giorni scorsi. [MORE]
Lo scorso 9 settembre l'attuale presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), in un dibattito con Diego Bianchi (“Zoro”) alla festa dell'Unità di Ostia aveva infatti sostenuto come il matrimonio, «come previsto dalla Costituzione, è quello basato sull'unione tra uomo e donna finalizzata alla procreazione». Il problema, secondo D'Alema, riguarderebbe il fatto che «per una parte importante di questo paese il matrimonio è un sacramento».
Dura la replica di Paolo Patané, presidente dell'Arcigay, che etichetta le parole dell'ex premier come «talmente rozze da sembrare incredibili. D'Alema finge di dimenticare che non esiste nessuna relazione tra matrimonio e procreazione, perché il matrimonio non è diritto esclusivo delle coppie che possono procreare. Confonde tra matrimonio civile e matrimonio religioso, dimenticandosi che esiste una differenza tra cittadini e credenti e tra Stato e Chiesa. E infine dimentica persino la sentenza della Corte costituzionale 138 del 2010, che parifica i diritti delle coppie conviventi dello stesso sesso a quelli delle coppie coniugate eterosessuali. In qualunque Paese dell'Unione europea queste sarebbero le dichiarazioni tipiche di un esponente di estrema destra con smanie religiose, ma in Italia sono le dichiarazioni di un leader del Partito democratico, ovvero di un partito che si dice progressista e di sinistra».
Dal partito, intanto, forte si è levata la voce di Anna Paola Concia, che definisce «corbellerie da Partito comunista» le dichiarazioni dell'ex premier. «Caro D'Alema, quando ti rimproverano che vuoi riproporre il Partito comunista degli anni cinquanta» - ha continuato la deputata democratica - «evidentemente qualche ragione ce l'hanno: parli di diritti civili come se fossero diritti borghesi. Forse ti sei sentito un cinico perché pensavi di sedurre l'Udc, ma sappi che Casini quel matrimonio con te non lo vuole proprio fare».
Andrea Intonti