Estero
Cuba e Stati Uniti: gli accordi e le prospettive della distensione
WASHINGTON, 23 LUGLIO 2015 – Per anni, i cittadini americani che passavano sulla sedicesima strada, nel distretto Northwest di Washington, hanno visto un imponente edificio privo di bandiere e apparentemente legato alla Svizzera: si trattava dell’ambasciata cubana, chiusa dal gennaio del 1961.
Al fine di tutelare i diritti e gli interessi dell’isola di Castro, le forze diplomatiche americane avevano accettato di riconoscere la Svizzera come potenza “protettrice” di Cuba, senza che, però, tra le due nazioni vi fossero reali rapporti diplomatici. [MORE]
Da qualche giorno, invece, una bandiera a strisce blu sventola sul tetto dell’edificio,
segno che la distensione tra i due ex nemici della guerra fredda sta finalmente avendo luogo.
Gli accordi
Sembrerebbe che una corrispondenza epistolare sia stata segretamente intrattenuta per mesi tra Barack Obama e Raul Castro, il fratello minore di Fidel. Per ora, però, gli accordi sono ancora molto limitati: riapertura delle rispettive ambasciate, possibilità, per i diplomatici statunitensi, di girare più liberamente sull’isola, creazione di un corpo diplomatico più esteso e, naturalmente, l’opportunità di viaggiare legalmente da uno stato all’altro. Secondo quando dichiarato dal presidente Obama, inoltre, la distensione dei rapporti dovrebbe portare a un maggiore contatto tra cittadini americani e cubani. “Il progresso a cui assistiamo oggi è un’altra dimostrazione del fatto che non dobbiamo essere imprigionati nel passato - ha spiegato il presidente - quando qualcosa non funziona, possiamo e dobbiamo cambiarla”.
Gli ostacoli
Ma, se le intenzioni sembrano suggerire un clima positivo, non mancano certo voci dissonanti. Prima di tutto, le obiezioni in casa: da quando ha annunciato la volontà di riprendere i rapporti con Cuba, Obama ha incontrato la fortissima opposizione dei repubblicani, che lo accusano di essersi arreso al comunismo. Si tratta, naturalmente, di un vecchio problema americano che dura almeno dai tempi del maccartismo, ma che non cessa di avere un impatto rilevante sull’opinione pubblica.
D’altro canto, la mano tesa di Raul Castro non arriva certo senza alcune condizioni: come si legge su Granma, giornale ufficiale del partito comunista cubano, l’accordo sarà protratto nel tempo solo se gli Usa decideranno di rimuovere l’embargo, in vigore dal lontano febbraio del 1972. A ben guardare, Obama aveva già provato, sin dall’inizio delle trattative pubbliche con Cuba, a portare all’attenzione del Congresso la possibilità di riprendere gli scambi commerciali con l’isola. Tuttavia,
il presidente si è trovato di fronte a un deciso “no” da parte della maggioranza repubblicana.
Non è tutto: l’altro nodo scottante riguarda la base navale di Guantanamo, di cui Cuba rivendica l’illegittimità dal punto di vista dei trattati internazionali. Per il momento, da Washington non sono state emesse dichiarazioni esplicite in merito: durante una conferenza al Pentagono, il Segretario Generale della Difesa Ash Carter ha spiegato che “in relazione alla base navale di Guantanamo non ci sono ancora anticipazioni o progetti”.
Infine, ma non certo meno importante, le due potenze dovranno fare i conti con una vecchia paura cubana, ossia che i media statunitensi possano tentare di sabotare il regime per mezzo di programmi di propaganda, convincendo gli abitanti a rovesciare Castro.
I giorni dopo la distensione: che ne è dell’isola?
Fatta eccezione per gli ovvi simboli della normalizzazione, resta da capire in che modo la ripresa dei rapporti con gli Usa possa influenzare il futuro di Cuba. Se, secondo quanto riportato da Reuters, la maggioranza degli americani si è detta favorevole a un clima di distensione, c’è da dire che, da più fronti, è già allarme conformismo.
Il pericolo maggiore sembrerebbe la presunta intenzione da parte degli Stati Uniti di trasformare l’isola in un immenso villaggio turistico. A questo proposito, non pochi sono stati più che perplessi alla vista dei recenti scatti che vedono protagonisti Paris Hilton – celebrità certamente non nota per il suo spiccato impegno politico – e Fidel Castro Diaz-Balart, il figlio del leader cubano, mentre partecipano insieme al festival dei sigari di L’Avana dello scorso febbraio.
Probabilmente, non bastano questi indizi per decretare il tramonto del regime castrista o la definitiva condanna di Cuba a una sottospecie di colonia degli Stati Uniti. Certo è che la riapertura dei trattati segna una svolta epocale in un rapporto che restava interrotto dal 1961, e dominato dal silenzio anche in seguito alla caduta dell’Urss.
Che questo sia un bene o un male per l’isola, potranno stabilirlo soltanto le decisioni prese dal Congresso in un prossimo futuro, quando occorrerà dare a Castro una risposta precisa alle richieste che ha avanzato. A quel punto, i cittadini di Washington, guardando l’edificio sulla sedicesima strada, sapranno se una bandiera cubana sventola ancora alta oppure no.
(foto: morasta.it)
Sara Svolacchia