Economia

Crisi Egitto, si infiamma il prezzo del petrolio

MILANO, 03 LUGLIO 2013 – Come già affermato in altre sedi, l'Egitto è un paese chiave negli equilibri mediorientali e non solo. Così - come era accaduto a seguito dell’escalation di violenza a cui si era assistito in Medio Oriente, a novembre dello scorso anno, a causa del conflitto tra Israele e Hamas – anche gli scontri di questi giorni in Egitto stanno sconfinando, generando implicazioni – oltre che geopolitiche – anche economico-finanziarie, a causa degl’interessi che si intrecciano alla presenza del cosiddetto “oro nero”.

Infatti, è bastato ipotizzare la chiusura del Canale di Suez, per far surriscaldare i mercati. Il 4-5% della produzione mondiale di greggio - circa un milione di barili al giorno - e il 14% dei carichi di Gas naturale liquefatto (Gnl), transitano attraverso il Canale di Suez e l’oleodotto Sumed. Rischio che, in questi giorni, si sta facendo un po’ più concreto. Ricordiamo che, in passato, si è già assistito alla chiusura del canale: per 4 mesi nel 1956 durante la Crisi di Suez e per ben 8 anni, dal 1967 al 1975, in seguito alla Guerra dei sei giorni. Posto che, tre delle cinque recessioni globali del passato sono scaturite da uno shock geopolitico in Medio Oriente (gli spettri degli shock petroliferi degli anni settanta fanno ancora tremare), si comprende perché tutto ciò incute fondato timore. [MORE]

In pratica, l’eventuale blocco del trasporto dell’oro nero attraverso l’Egitto, comporterebbe la deviazione del traffico verso una rotta alternativa, costringendolo ad una circumnavigazione dell’Africa. L’allungamento dei tempi medi di trasporto si tradurrebbe in costi aggiuntivi, accentuazioni delle tensioni inflazionistiche mondiali e conseguenti speculazioni.

Tuttavia, con lo sviluppo di strumenti finanziari sempre più sofisticati, frutto dell’ingegneria finanziaria, le cause-effetto collegate al petrolio, da economico-geopolitico (sottolineiamo che, tre delle cinque recessioni globali del passato, sono scaturite da uno shock geopolitico in Medio Oriente), si sono fatte sempre più di matrice finanziaria. In base a quanto si legge nel ‘Conflict Barometer 2011’, rapporto annuale elaborato dal Political Science Department of the Heidelberg Institute for International Conflict Research (HIIK) è la «finanziarizzazione del mercato delle commodities», ovverosia l’azione dagli speculatori e dai mercati finanziari mondiali ad influenzare le politiche fiscali delle potenze mondiali.

Speculazioni, appunto, che sono già in atto, come evidenzia l’andamento dello spread Brent/Wti di questi ultimi giorni. Nello specifico, il riferimento americano, ha subito un’impennata al rialzo, archiviando la seduta ai massimi da 9 mesi a 99,60 $/barile (+1,6%), mentre il petrolio del Mare del Nord si è portato a 104 $ (+1%).

Tuttavia, se è comprensibile che i venti di guerra, spingano in alto il prezzo dell'oro nero, a causa delle preoccupazioni legate ad un calo della fornitura, qualche perplessità sorge in merito all’andamento dei contratti futures sul Brent (perché, in esso, oltre ad avvertire l’azione della longa manus degli speculatori, si percepisce il loro cinismo riguardo all’escalation di violenza collegata al suddetto conflitto).

Così, da parte delle economie mondiali, occhi puntati sull'Egitto, visto che sta per scadere l'ultimatum lanciato dall'esercito al presidente egiziano Mohamed Morsi, il quale ha respinto - a sua volta - una soluzione politica condivisa della crisi, aprendo uno scontro frontale.
 

Rosy Merola