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Copa America, le big continuano a deludere

 ARGENTINA, 10 LUGLIO 2011 - Il giudizio complessivo sulla Coppa, dopo la prima tornata di incontri, era stato fondamentalmente negativo, per una competizione orfana dello spettacolo promesso alla vigilia.

Adesso che ogni squadra ha disputato anche il suo secondo match, quanto meno abbiamo assistito a qualche gol in più, non una valanga ma comunque un passo avanti rispetto ai soporiferi 0-0 che avevano infestato la prima giornata del tabellone.[MORE]

Detto già di una gestione dilettantistica di questa manifestazione, l’impegno più costante lo stanno sicuramente offrendo i tifosi, sfidando, imperterriti, trasferte proibitive e climi non allettanti.

Sul campo invece, i loro beniamini, stelle stelline e future meteore, continuano a latitare, zampettando spaesati, alcuni svogliati, altri semplicemente troppo presuntuosi (a dispetto della giovane età).

Nel frattempo l’impossibile si sta lentamente tramutando in plausibile, con buona pace degli organizzatori: le big rischiano addirittura di non raggiungere la fase ad eliminazione diretta. Infatti Argentina, Uruguay e Brasile si ritrovano esattamente nella stessa melma: terze nei rispettivi gironi, con solo due miseri punticini, derivati da altrettanti deludenti pareggi.

L’unica “grande” che si è già messa al riparo da sorprese è il Cile, che, pur non esprimendo un gioco eccelso, ha comunque dimostrato più carattere di tutte le altre formazioni messe insieme, rimontando una situazione di svantaggio sia contro il Messico che contro l’Uruguay: ed è l’unica squadra, tra l’altro, a poter contare in questo momento su un giocatore (Sanchez) che, quando vuole (di solito decide di svegliarsi nel secondo tempo), riesce a marcare la differenza.

Per il resto, l’Uruguay, a costo di sembrare ripetitivi, non è una squadra, è solo una vetrina con meravigliosa merce offensiva; il Brasile è tanto giovane quanto arrogante e fumoso: anche ieri si è salvata solo al 90°, portandosi sul 2-2 contro un Paraguay molto più voglioso e concreto, che più volte ha rischiato di dilagare.

Infine l’Argentina, che a dispetto del suo potenziale offensivo, sfoggia un triste 1 alla voce gol fatti. Ovviamente gli occhi accusatori sono tutti puntati su Messi, ma siamo sicuri che sia lui l’unico responsabile?

Si sprecano le teorie sulle cause della crisi d’identità che puntualmente colpisce il miglior calciatore al mondo appena indossa la camiseta della nazionale; tanto vale quindi unirsi al coro e fornire un’altra possibile lettura dei dolori del giovane Lionel: il problema di fondo, a mio modesto parere, è che l’Argentina non è una nazione (né tantomeno una nazionale) qualsiasi, e solo chi ci è nato e cresciuto può capirne l’essenza senza lasciarsi ubriacare.

Maradona, ad esempio (ma non un esempio casuale), era, prima ancora di un fuoriclasse, uno scugnizzo: non è un caso che Diego sia diventato il re di Napoli, perché ne conosceva la mentalità, la passione (l’essenza), prima ancora di trasferirsi.

Messi ha lottato ancor più del suo idolo per arrivare dove è adesso, ha sconfitto una terribile malattia, ma ha sempre contato sull’affetto prima della famiglia, poi dello staff e dei compagni del Barcellona (fin dalle giovanili).

L’errore più grave che si possa commettere quando si parla di Messi, è quello di chiedergli di essere come Maradona, non tanto di giocare come lui (probabilmente sul campo la pulce è già più grande di un dio), quanto piuttosto di trasformarsi in uno scugnizzo, uno che irrida l’avversario col carattere prima ancora che con i piedi.

Ma non si può chiedere a qualcuno di essere qualcun altro: è contro natura.

Se al lato umano aggiungiamo una carenza tattica che nessun selezionatore dell’albiceleste è mai riuscito a colmare, forse ci appare improvvisamente più chiara la debacle dell’Argentina, che continua con disarmante masochismo a pretendere da Messi di salvare la patria, senza dargli il supporto necessario per farlo, dilapidando intanto un patrimonio generazionale difficilmente ripetibile.

Nel frattempo gli amanti delle fiabe possono consolarsi con una schiera compatta di cenerentole: Colombia, Venezuela, Perù, tutte vittime sacrificali che ad un tratto si trovano ad interpretare il ruolo da protagoniste.

 

Maurizio Grimaldi