Economia
Con il delisting i Benetton tornano al core-business del made in Italy?
Roma, 1 febbraio 2012. La famiglia Benetton si interroga su quale sia il core-business delle proprie attività economico-finanziarie? A giudicare dalla decisione della famiglia di Ponzano Veneto di effettuare un delisting delle azioni Benetton dal mercato di Piazza Affari sembrerebbe di sì. Il titolo Benetton, quotato in borsa venticinque anni fa, ha registrato negli ultimi tre anni un decremento di valore del 30%, il doppio del calo del listino Ftse-Mib che si è attestato a meno 15% nello stesso periodo. La decisione della dinastia trevigiana del tessile di finanziarizzare la propria attività economica aprendo al mercato dei capitali rientrava nella logica della diversificazione industriale che ha portato la holding di famiglia ad effettuare enormi investimenti in attività ad alta remunerazione produttivi di extra profitti monopolistici. La partecipazione di edizione Holding a operazioni come il controllo di Telecom, Autostrade ed Autogrill rispecchia la decisione strategica dei Benetton di investire in mercati ad alto tasso di utili finanziari, sebbene in settori non strettamente connessi a quello di provenienza industriale.[MORE]
La vicenda dell’affermazione della famiglia Benetton nei salotti del sistema finanziario italiano è emblematica della parabola industriale del nostro Paese. Negli ultimi venti anni, ancor prima dell’aggravamento delle condizioni del bilancio pubblico, è stato il collasso della produttività e competitività delle imprese italiane a decretare il deficit di credibilità del sistema economico dell’Italia, rispetto a sistemi concorrenti come quello tedesco. L’abbandono del core business di famiglie di grande tradizione industriale come gli Agnelli o gli stessi Benetton a favore di logiche finanziarie si fa emblema della perdita di attenzione verso le leve dell’innovazione che devono fare da propulsori per il sistema economico e che affondano le proprie radici in un sistema industriale connesso all’economia reale e valutato alla luce dei parametri di produttività.
La crisi della finanza globale ha portato alla luce le contraddizioni della via italiana alla deindustrializzazione e ha sanzionato gravemente proprio quelle imprese che si sono rifugiate in mercati sicuri, senza affrontare i morsi della globalizzazione avviando riorganizzazioni industriali per tempo. Se la Fiat con il piano industriale di Marchionne sembra aver colto tempestivamente il messaggio proveniente dai mercati internazionali a rafforzare il tessuto industriale diminuendo l’importanza dell’Ifil, la cassa finanziaria della famiglia Agnelli, i Benetton arrivano con un qualche ritardo all’appuntamento con la necessaria revisione delle strategie economiche. Comunque la decisione di rastrellare la quota di azioni in mano ai mercati finanziari si spiega con l’esigenza di avere le mani libere per avviare la riorganizzazione della rete di produzione e di vendita dei prodotti del core-business dell’abbigliamento, duramente minacciate dalla concorrenza della spagnola Zara e dalla svedese H&M. La edizioni Holding è giunta alla consapevolezza che a guidare il processo di ristrutturazione industriale di un’impresa in crisi non possono essere i mercati finanziari il cui raggio di valutazione è necessariamente di breve periodo, ma debba essere una schietta valutazione del circuito dell’economia reale, con un patto di produzione che veda coinvolti tutti gli attori del sistema economico, dalle istituzioni territoriali ai lavoratori e imprese.
Emiliano Colacchi
In foto (forbes.com), Luciano Benetton