Con Gianmarco Carroccia e Mogol rivive il mito di Lucio Battisti al Festival d’Autunno
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Catanzaro, 9 novembre - Centinaia di giovani gremiscono i cinque piani di palchi del Teatro Politeama. In piedi per due ore e mezza cantano, ballano, agitano le braccia a ritmo illuminando con le torce dei telefonini, sono uno spettacolo nello spettacolo. Il merito è di Gianmarco Carroccia, giovane cantante incredibilmente somigliante al grande Lucio Battisti, con la sua stessa sensibilità e la sua straordinaria vena melodica. Appassionato di musica italiana dall’età di cinque anni, si laurea all’Università La Sapienza di Roma ma si diploma anche come “Autore di testi” presso il CET, la scuola di Mogol e studia chitarra. Inizia a scrivere testi musicali e dà vita ad un progetto chiamato “Emozioni” in cui intende portare sul palco i pezzi di Battisti cosi come furono scritti nell’arrangiamento e nella voce. È proprio in uno dei suoi concerti che Mogol lo va a vedere e ne apprezza immediatamente le doti. Gli propone di fare qualcosa insieme e nasce così “Emozioni. Viaggio tra le canzoni di Mogol e Battisti”, lo spettacolo con cui ieri sera ha ammaliato i circa mille spettatori del teatro lirico del capoluogo calabrese. Pubblico affascinato dalle sue qualità di performer a tal punto che da più parti si alzano voci che inneggiano “Bravo Lucio”, “Grazie Lucio”. Pubblico, però, anche letteralmente rapito da un’altra straordinaria presenza, quella del più grande autore di testi italiano, Giulio Rapetti in arte Mogol. Mentre Carroccia, accompagnato da un’orchestra di sedici elementi, diretti da Marco Cataldi, ripercorre la biografia musicale del compianto Lucio, Mogol, sapientemente stimolato dal giornalista calabrese Marcello Barillà, anticipa ogni canzone spiegandone il significato del testo, raccontando aneddoti, illustrando come è stata ispirata, ma, anche, mettendo in evidenza le qualità del cantante e dell’orchestra. Non è da meno dei giovani in sala, canta e si muove a ritmo con grande grinta.
“Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi. Ritrovarsi a volare”, canta Gianmarco, e i presenti sono già nelle sue mani, “chiamale se vuoi, emozioni”.
Scopo del progetto è quello di far conoscere le canzoni più belle, non solo quelle più famose, così dopo “29 Settembre” e “Un avventura”, ecco “Il patto”, canzone bellissima scritta da Mogol e Gianni Bella, che il paroliere definisce uno dei due geni che ha conosciuto nella sua vita e poi aggiunge “solo un ictus poteva fermarlo”.
Si torna a ballare con “Acqua azzurra” e “Dieci ragazze” e capita, poi, anche di commuoversi con “Anche per te”, con Mogol che spiega perché ha scelto come protagoniste una donna anziana che non ha più niente da chiedere alla vita, una ragazza squillo che aggiunge ancora un po’ d’amore a chi non sa che farne, e una ragazza madre. Dice che sua moglie è molto impegnata nel sociale ad aiutare chi ha bisogno mentre lui no e questo gli ha provocato quel dolore da cui è nato il testo.
“Che ne sai tu di un campo di grano. Poesia di un amore profano”, la poesia ormai è padrona dell’aria con “Pensieri e parole” e “Mi ritorni in mente”, quando ci spiega perché ne “I giardini di Marzo” i fiori sul vestito della madre non sono ancora appassiti, perché in quel periodo lei non poteva permettersi molti vestiti e lui, bambino, si chiedeva “ma se sono lì da tanto tempo, perché non sono ancora appassiti?”. Ora a ballare è tutto il teatro e alla fine l’appaluso è lunghissimo.
“Vento nel vento”, “Il mio canto libero” e poi si torna a Gianni Bella con “Il profumo del mare”, un blues che, secondo Mogol, se l’avesse cantato Stevie Wonder sarebbe immortale in tutto il mondo.
Il duo Battisti-Mogol si riprende la scena con “Anima latina”, una canzone che ha dentro l’anima del Brasile eseguita in maniera straordinaria dall’orchestra, “è raro vedere questi livelli” sostiene Mogol.
Arriva il gran finale con “Una giornata uggiosa”, “La canzone del sole”, “Respirando”, “Una donna per amico”, “Con il nastro rosa”. Sono trascorse due ore e un quarto ma nessuno è stanco e a gran voce richiamano fuori orchestra e cantante che chiudono con una lunga standing ovation dopo aver cantato “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi” e “Il tempo di morire”.
Una menzione speciale va all'orchestra che ha eseguito in maniera straordinaria tutte le musiche, ricevendo più volte i complimenti di Mogol e le ovazioni del pubblico:
Marco Cataldi - Arrangiamenti e chitarre, Giacomo Ronconi - Chitarre, Alessandro Patti - Basso, Bruno D'Ambrosio - Batteria e percussioni, Gianni Romani - Pianoforte e tastiere, Carla Corsi e Davide Fusaro - Cori, Franco Santodonato - Tromba, Rosario Liberti - Trombone, Olimpio Riccardi - Sax e flauto, Alessio Bernardi - Sax e flauto, Paolo Marchi - Primo violino, Michele Campo - Violino, Daniele Marcelli - Viola, Manuel Perez - Violoncello.
Si conclude con un ulteriore successo la sezione concerti del Festival d’Autunno 2019. “Un edizione fortunatissima premiata dal sold out di tutti gli eventi, dalla forte presenza giovanile e da un grande successo di critica”, come ha tenuto a sottolineare la dott.ssa Antonietta Santacroce, ideatrice e direttore artistico della kermesse, che ha poi dato appuntamento ai prossimi eventi a partire già da questa sera al Museo Marca.
Saverio Fontana
Fotografia Monteverde