Premio Pandora
Colloqui d'Autore. Intervista a Gioacchino Criaco
SELLIA MARINA (CZ) 05 AGOSTO 2015 - Premio Pandora edizione 2015 conferito dalla testata giornalistica Infooggi: Gioacchino Criaco, punta di diamante della letteratura calabrese contemporanea, nato e vissuto ad Africo, il cuore storico e profondo dell’Aspromonte che è la Terra bella e maledetta, intrisa dal sangue di troppi uomini, cresce nel ventre di un male di cui conosce ogni risvolto, ha scelto di raccontarla la sua terra di Calabria, con i toni del noir mozzafiato in “Anime Nere” per questo tra molti premi e riconoscimenti le è stato riconosciuto anche il Premio giornalistico Pandora 2015 non per aver raccontato una realtà conosciuta, quella truce e sanguinaria della criminalità, della quale si rende frequentemente una rappresentazione scontata e ovvia; ma anche quella quella della bellezza soffocante: lei Criaco affila un bisturi sottile e freddo nel coraggio di andare a rintracciare responsabilità storiche e connivenze indicibili dei mali storici meridionali. Perché la scelta dolorosa di affondare il bisturi nella carne dell'animale ferito? [MORE]
R.- Si, sono felice per i tanti riconoscimenti, soprattutto quelli calabresi.Un sentito ringraziamento alla testata giornalistica Infooggi che ha voluto riempirmi d'orgoglio tributandomi questo prestigioso Premio. Questo come altri successi non arrivano all’improvviso, ma dopo un lavoro lungo, faticoso, che va avanti da sette anni, dal luglio 2008, con l’uscita di Anime Nere. Ho scelto di raccontare quella Calabria che si ritiene depositaria di ogni male, per far scoprire quanto sia facile trovare un mostro a cui attribuire di tutto; penso di aver tolto il lenzuolo al fantasma e sotto si sono viste le tante responsabilità di una società egoista, vile, anche un po’ razzista e tanto, tanto ipocrita.
D. - Di se stesso ha scritto: “ di narrare impietosamente la terra di Calabria ed il suo popolo senza denigrazione” ed io aggiungo di farlo con un considerevole rispetto e un amore profondo e viscerale per la “calabresitudine” ovvero quel sentimento ambivalente di amore e odio, che è contraddizione in fieri per ciò che si vorrebbe come non è, che tarda a doverlo diventare. Fuori di ogni retorica cosa lei ama della Calabria e ciò che odia indicibilmente.
R - Poiché parlo della Calabria come se parlassi di me stesso, rivendico il diritto di dire ciò che mi pare. Vorrei una Calabria diversa, che non ci sarà se i calabresi non si scuotono
D. - Il suo viaggio al tempo stesso introspettivo e psicologico, le permettono di compiere un'analisi spietata di ciò che continua a profilarsi come l'irrisolta questione meridionale ad oggi ancora aperta e palpitante. Ritiene di concorrere ad alimentare un dibattito in qualche modo produttivo da intellettuale “organico” che serve alla trasformazione del paese o quanto meno ad una immagine non stereotipata della Calabria?
R. - Secondo me non dobbiamo badare a ciò che pensano di noi. E chi se ne frega, dico. Dobbiamo parlare fra di noi per dirci quello che davvero non va, perché noi sappiamo bene come stanno le cose. e parlare fra noi, di noi, è una cosa che non abbiamo mai fatto, lasciando che altri dicessero di noi qualunque cosa, spesso sciocchezze.
D. - Lei ha scelto di accostarsi e rappresentare il mondo criminale da studioso, giornalista o antropologo? Sebbene non abbia bisogno né di guide o di interpreti per capire quello che forse lei sa da sempre: La verità dei suoi romanzi è diretta, immediata” anche se non coincide con verità preconfezionate ed etichette. Ritiene che sia possibile per i “dannati” del sud una qualche forma di riscatto civile, se è sì quale?
R. - Io non mi accosto a quel mondo, sono nato nei posti che hanno prodotto le devianze e so che non c’è una tara genetica, non si nasce malacarne. Si diventa ciò che le condizioni date ti fanno diventare. Ed è ovvio che ci sia più voglia di cambiare dove si sta male. E sono convinto che nei posti “peggiori” della Locride sia presente un’energia positiva che in altri ambiti non c’è.
D - L'addolora che che certa politica definisca come “piagnistei” gli interventi sui temi del mezzogiorno, dovendo ricordare che al Sud il numero degli occupati è al livello più basso dal 1977, la natalità ai minimi storici dai tempi dell'Unità d'Italia ed i meridionali fuggono verso il Nord e di più all'estero, come i migranti stranieri che arrivano sulle nostre coste mirando solo a trasferirsi in altri Paesi. Tutta questa totale assenza di progetti e investimenti rende la sua voce più simile ad un urlo di dolore, che è un "piagnisteo" o vorrebbe invece somigliare alla sequela dissonante del "va tutto bene madama la marchesa”.
R. - Qua non si tratta di piangere, si prende solamente atto di una realtà drammatica, che un secolo e mezzo di politica distratta non ha risolto. Ognuno si deve prendere la propria parte di responsabilità. Siamo a un punto zero, ci serve un progetto intorno al quale sentirci comunità. Dobbiamo partire, insieme, ma non per andarcene lontano, per andare lontano, nel futuro.
D. - In definitiva anche nella sua seconda opera “Zefira” riesce a far vivere l’atmosfera pesante legata ad un crimine clamoroso, tutti gli avvenimenti incalzano sempre senza tregua ed il male esplode quasi improvviso, incontenibile, come se sgorgasse dalle profondità dei secoli, dalle viscere ancestrali delle nostre radici, per spazzare via la speranza. Come concilia -se si conciliano nella sua opera - la Comicità e la tragedia che accompagnano storie e personaggi apparentemente distanti che di colpo si confondono tra loro. Niente è come sembra, nulla è scontato: Politici, magistrati, poliziotti, mafiosi, uomini di chiesa e delle istituzioni popolano un verminaio inestricabile che spalanca la miseria degli abissi umani, quali ritiene i peggiori.
R. - Ma perché da noi tragedia e farsa stanno talmente insieme che spesso coincidono. Siamo talmente convinti che alla fine qualcuno ci risolva i problemi, che di questa convinzione moriremo. La Calabria ha molti problemi reali, ma fuori c’è una rappresentazione della realtà che è l’inganno ordito dal potere locale calabrese, che strangola la Calabria e si presenta come il suo salvatore. E allora nulla è come sembra.
D. - Lei recentemente ha avuto modo di scrivere in un suo articolo comparso su “in Aspromonte giornale di cultura, ambiente e risorse, eventi del massiccio montano” <<l’estate finisce, i calabresi partono, se li porta via il vento, fra le promesse di un ritorno che sarà per sempre e invece non ci sarà quasi mai, e la certezza di case anonime di periferia, di fiati fumanti nel freddo, di vite in attesa, di andate lunghe e rientri brevi, partenze ininterrotte per rinnovare ogni volta il dolore dell’addio>> solo chi ha provato il dolore degli addii riesce a descriverli in questa sua forma mirabile e intensissima, commovente e ricca di suggestioni. A cosa Criaco ha scelto di Non rinunciare nel rito degli addii alla sua terra di fine estate.
R. - Vede io vado fuori a trovare quello che mi permetta di mantenermi, ma da fuori porto anche le risorse per costruire il mio sogno. Non rinuncio al ritorno, e non lo farò mai.
Grazie alla disponibilità, gentilezza ed estrema cortesia di Gioacchino Criaco. Grande intellettuale, Efficace e Tagliente come una lama. Bisturi profondo della nostra "calabresitudine" fiera di condividere con lei la "conterraneità".
Angela Maria Spina