Economia

Cisal, urge nuova politica di gestione del sistema pensionistico

ROMA, 12 FEBBRAIO 2014 - La legge Fornero si sta rivelando sempre più, giorno dopo giorno, in tutta la sua drammatica iniquità, acuendo la forbice tra una classe lavorativa – specialmente all’interno della pubblica amministrazione – suddivisa tra anziani impiegati sempre più a lungo e giovani che entrano sempre più tardi nel mondo del lavoro, e molto spesso da precari permanenti.

Quanto la CISAL, in tempi non sospetti dichiarava con forza che per favorire il lavoro giovanile, è necessaria libertà di pensionamento per anziani, sembrava quasi una voce stonata fuori dal coro.
Oggi, non senza un briciolo di “amara” soddisfazione, constatiamo – ad affermarlo è Paola Saraceni, Segretario Generale del Dipartimento Ministeri, Sicurezza e P.CM. di Cisal Fpc – che ciò sembra essere divenuto patrimonio e pieno convincimento di molti.
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Il panorama odierno del mondo del lavoro è, come noto, assai poco rassicurante, tanto per chi già lavora da decenni e vede ancora lontanissima la prospettiva di una pensione – senza sapere poi a quanto ammonterà – quanto e soprattutto, per centinaia di migliaia di giovani, condannati – stando così le cose – ad una precarietà permanente.

I provvedimenti in materia pensionistica di questi ultimi anni, hanno determinato lo spostamento in avanti dell’età pensionabile, aumentando – in alcuni casi anche considerevolmente -il numero di anni di contribuzione necessaria per maturare il diritto in esame. Per questo motivo, occorre ipotizzare una nuova politica di gestione delle pensioni e dei pensionamenti, che riesca a coniugare da un lato l’esigenza di lavoratori anziani che necessiterebbero di un’uscita dal mondo del lavoro in un’età che consentisse loro di assecondare i tempi e le esigenze della famiglia, valorizzando la loro esperienza di vita, nei confronti dei figli e dei nipoti; dall’altro, l’esigenza di chi un lavoro non c’è l’ha e – continuando così le cose – ben difficilmente lo avrà. Ci riferiamo a quei moltissimi giovani – prosegue Paola Saraceni - che oggi bloccati da quei tardivi pensionamenti, non sono affatto facilitati ad entrare nel mondo del lavoro e, loro malgrado, prolungano la loro permanenza a casa dei genitori fino a 30, 35, a volte anche 40 anni ed oltre.

In pratica– precisa il Segretario Generale Saraceni in termini molto semplici -, si tratterebbe di ipotizzare forme di flessibilità in uscita, basate su un sistema di penalizzazione e premialità che, in riferimento all’ammontare dell’assegno pensionistico, consentissero comunque l’uscita dal mondo del lavoro in un’età compresa – ad esempio – tra i 62 ed i 70 anni, andando così incontro a esigenze molto diversificate tra loro.
Naturalmente, andrà previsto anche un tetto minimo di anzianità contributiva – ad esempio 35 anni – e un importo minimo dell’assegno pensionistico per non correre il rischio di incentivare una nuova forma di povertà: resterebbero salve le condizioni di miglior favore per quei lavoratori che hanno svolto lavori altamente usuranti. All’estremo opposto, andrà previsto anche un tetto massimo di anzianità contributiva – ad esempio 41 anni – che darebbe diritto al trattamento pensionistico, a prescindere dall’età anagrafica.

Un simile modello – conclude la Dirigente nazionale Cisal Fpc - contribuirebbe a modificare radicalmente il mondo del lavoro in Italia restituendogli, nel giro di pochi anni, una sorta di equilibrio assolutamente indispensabile al progresso dell’intera società. Avremmo, in tal modo, anziani che tornano a fare i nonni, con la loro essenziale funzione sociale in questo senso, e giovani che entrano all’età giusta nel mondo del lavoro e della produzione, con l’energia e la grande voglia di fare tipica della loro età, che soltanto una dissennata politica dell’occupazione ha mortificato, trasformandoli in bamboccioni e choosy, come hanno poi avuto il coraggio di chiamarli gli stessi autori di questo disastro generazionale.

(notizia segnalata da antonello iuliano)