Economia

Check up Mezzogiorno, ritardi da colmare e tendenze da incoraggiare

Roma, 19 luglio 2011 – E' stato pubblicato dall'Area Mezzogiorno di Confindustria e da SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, centro studi collegato a Intesa Sanpaolo, il nuovo Check up Mezzogiorno, un quadro aggiornato dei principali fenomeni economici e sociali a scala regionale e con confronti europei. Dai dati viene fuori un Mezzogiorno a due velocità, con molte aree di criticità e ritardi da colmare. il divario tra il Pil pro capite del Mezzogiorno e quello dei paesi dell’Unione Europea è pari a 31,2% Con riferimento ad Altre variabili quali la produttività (nel 2009, fatto 100 l’indice per il Centro‐Nord, per il Mezzogiorno) è risultato pari a 83,1. [MORE]

Gli esperti stimano un ritardo delle province meridionali presentano mediamente un ritardo di circa il 40% rispetto alle regioni centro settentrionali.


La spesa pubblica procapite in Italia è passata dai 13.501 euro del 2001 ai 17.203 euro del 2009. Tale aumento si è verificato sia nelle regioni centrosettentrionali, sia in quelle meridionali per cui permane il gap tra le due aree: nel Centro Nord la spesa pubblica procapite al 2009 è di 18.921 euro, mentre nel Mezzogiorno ammonta a 13.974 euro. Si rileva, inoltre, che dopo una progressiva crescita della spesa nel periodo 2001‐2008, il 2009 fa registrare un’inversione di tendenza con una diminuzione della stessa di circa l’1% rispetto al 2008, ugualmente presente in entrambe le ripartizioni.

Lo studio evidenzia che, nel I trimestre del 2011, le imprese operanti al sud mostrano un calo dello 0,8% rispetto ai dati di dicembre 2010, ma con un incremento dell’1,0% delle società di capitali (crescita appena superiore a quella verificatasi nel Centro-Nord con +0,9%). I dati sulla forma giuridica delle imprese attive al I trimestre del 2011, confermano la forte prevalenza di ditte individuali nel Mezzogiorno (71% rispetto al 58% del Centro Nord) e un’incidenza delle società di capitali che non va oltre il 13% (20% nel Centro Nord).

Questo dato fa capire che le performance migliorano man mano che si è in presenza di imprese strutturate.
Così crescere la forbici tra imprese migliori e quelle peggiori, in tutte le ripartizioni geografiche, non solo nel Mezzogiorno, dove si è portato al 25,8% del 2008, rispetto al 15% del 2007. Ciò significa dire che, accanto ad un limitato numero di “eccellenze” che riescono a restare sui mercati internazionali, troviamo un proliferare di imprese di piccole dimensioni: il 95,8% di esse si colloca nella classe di addetti compresa tra 0 e 9 unità. Le piccole dimensioni si ripercuotono sulla capacità delle aziende a competere sui mercati internazionali. Infatti, l’incidenza delle esportazioni sul Pil nel Mezzogiorno è di appena l’8,0% (in calo rispetto al 9,3% del 2005) mentre nel Centro Nord raggiunge il 21,7% (la media UE‐27 è del 26,9%).

A tal proposito, è da sottolineare l’inclinazione delle suddette aziende nell’ingegnarsi al fine di superare i limiti dimensionali rivolgendosi alla rete.

Se si entra nello specifico dei settori, nel 2008, le unità locali del manifatturiero meridionale presentano una dimensione media (5,8 addetti per unità locale) notevolmente inferiore a quella rilevata a livello nazionale (8,5). I settori con gli stabilimenti in media più grandi sono quello dei mezzi di trasporto (51,8 addetti per unità locale; 41,1 il dato italiano), il chimico‐farmaceutico (12,8 addetti; 25,9 per l’Italia) e quello dei prodotti derivanti dal petrolio (12,3 addetti; 14,8 in Italia).

 

Dal punto di vista dei distretti industriali, dei 22 censiti dall’Osservatorio dei distretti industriali, corrispondenti al 21,8% del totale nazionale. La maggior parte dei distretti meridionali fa parte del settore “abbigliamento-moda” (10 distretti); seguono i distretti specializzati nei settori dell’automazione, del metalmeccanico, dell’elettronica e dell’energia (in totale 5). Infine, ci sono 4 distretti appartenenti al settore alimentare e 3 al settore dell’arredo‐casa.

Per quanto riguarda i dati occupazionali, il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è del 13,4% (5,9% nel Nord del Paese; 9,6% per l’UE‐27); il tasso di inattività è del 49,2% (30,8% per il Nord); il tasso di disoccupazione femminile è di 15,8% (7,0% per il Nord); il tasso di disoccupazione giovanile è del 38,8% (20,6% per il Nord).

In riferimento alla quota di laureati nella fascia di popolazione compresa tra 30 e 34 anni, questa è cresciuta tra il 2004 ed il 2009 dal 12,9% al 15,2%, pur restando inferiore rispetto a quella registrata nel Centro‐Nord (superiore al 20%).

Nel 2009 il 23,0% dei giovani meridionali ha abbandonato gli studi dopo la terza media, un dato in calo rispetto al 2004 (27,1%), ma ampiamente superiore a quello del Centro‐Nord (16,5%). Emergono forti differenze tra le regioni meridionali: Abruzzo, Molise e Basilicata presentano valori allineati a quelli del resto del Paese, mentre Campania, Puglia e Sicilia registrano i valori peggiori, superiori al 22%. Per quanto riguarda alcuni aspetti sociali, il livello di qualità della vita, che per molti indicatori presenta un Mezzogiorno ancora molto arretrato rispetto al Centro Nord. Nelle regioni meridionali, il 22,1% delle famiglie vive in condizioni di povertà relativa (dato migliorato rispetto al 2007, ma lontano dal 5,2% registrato nel Centro Nord); sempre al Sud, ci sono 1,54 omicidi volontari ogni 100.000 abitanti, più del doppio del Centro Nord.

Le indicazioni principali che da questo rapporto si ottengono, riguardano indicazioni di policy, a cominciare dall’urgenza di intervenire sui fattori di contesto, traducendo quanto prima in misure concrete gli impegni annunciati a più riprese dal Governo dall’autunno scorso (Piano per il Sud) ad oggi (Decreto sviluppo e Manovra finanziaria).
 

Rosy Merola