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Caterina Corea: FB Face - Book Fa - Bene?

 FB
Face - Book
Fa – Bene ?

Rosenberg Institut - St.Gallen 15.04.2015

17 APRILE 2015 - Facebook può essere senza dubbio considerato una delle più grandi invenzioni degli ultimi decenni, questo è dovuto sia alle innovazioni nell’ambito di internet che ha introdotto, sia ai cambiamenti che ha apportato nella vita sociale dei singoli individui.

Nasce nel 2004 grazie ad uno studente dell’Università di Harvard, Mark Zuckerberg, con l’aiuto di due colleghi, Andrew McCollum ed Eduardo Saverin.

Nel giro di pochi anni è diventato uno dei piu popolari social network presenti in rete: si è trasformato in un ”Faceboom”, con i suoi lati positivi e negativi. Nato per connettere tra loro gli studenti di uno stesso campus universitario, ha ampliato esponenzialmente il numero dei suoi utenti, lasciando inalterata la sua principale caratteristica: collezionare e collegare tra loro le identità degli iscritti.  [MORE]

Data l’influenza che il fenomeno comincia ad avere nelle relazioni umane, diventa sempre più necessaria anche una sua lettura psicologica.

Cosa si nasconde dietro l’inaspettato successo di Facebook? Alcuni sostengono che Facebook sia il metodo di comunicazione delle nuove generazioni altri invece, dietro il suo successo, vedono una manifestazione esplicita di alcuni aspetti “psicologici” dei giovani forse la spia di un grosso problema di solitudine come se le persone fossero disperatamente in cerca di una realtà diversa, anche sentimentalmente, così da alterare, spesso consapevolmente la verità.

Ma se affrettiamo le conclusioni sembrerebbe – insomma - che su Facebook ci siano soprattutto persone sole, infelici, non più giovanissime, che aspirino a farsi pubblicità e a cercare nuove conquiste. Un profilo da “sfigati” molto poco lusinghiero.

Proprio per l’estensione del fenomeno – ad oggi si calcolano circa 500 milioni di utenti - è impossibile tracciare un profilo specifico di chi utilizza Fb quindi proveremo a fare insieme alcune considerazioni ed ognuno trarrà le sue conseguenze.

Un tratto di personalità riconoscibile su Facebook è senz’altro l’estroversione. Gli introversi vanno meno su Facebook, gli estroversi di più.

Gli studenti universitari usano FB soprattutto per mantenere relazioni che già hanno, piuttosto che per trovare nuove relazioni, con una leggera eccezione per le matricole.

Gli studenti con bassa autostima e poca soddisfazione personale possono trarre maggior giovamento dall’uso dei social network per migliorare il capitale sociale.

L’appartenenza a gruppi – all’interno del social network – di impegno politico o sociale si correla con un’effettiva maggior attività del medesimo tipo fuori dalla rete.

Facebook, alla stregua di tutti gli strumenti e le applicazioni del web, può essere visto in maniera “positiva”, quanto “negativa. In sè racchiude l'essenza di quanto c'è di positivo in internet, cioè l'elevazione all'ennesima potenza della quantità e della velocità con cui si possono scambiare dati, anche quando tali "dati" rappresentano "un'amicizia". Ma c’è la possibilità, se ci pensate, che possa racchiudere anche gli svantaggi di internet, primo tra tutti, "l'overload informativo".

E' questa la grande illusione dei social network.
La velocità e la facilità con cui le "amicizie" si possono moltiplicare praticamente all'infinito può trarre, anzi, con ogni probabilità trae in inganno molti utenti. E' l'ennesima trasposizione nella realtà virtuale di un pezzo di realtà concreta.

Ma quanto, la realtà virtuale, rispecchia in questo caso quella concreta?

Non stiamo cadendo forse tutti nell'illusione che si possano costruire vere relazioni interpersonali seduti davanti a un computer?

Personalmente (e da psicologa), credo sia un rischio.
Usare internet per lavoro, per comunicare, per informarsi e come risorsa ricreativa va molto bene ma quando sono le relazioni interpersonali a essere messe a rischio credo sia il caso di non trascurare un certo tradizionalismo.

Apprendiamo a rapportarci con gli altri in un ambiente reale, concreto, e sulla base di queste prime relazioni costruiamo il modello, funzionale in molti casi, disfunzionale in altri, sul quale edifichiamo tutta la nostra successiva vita sociale.

Vedo ora nei social network il rischio di un overload sociale.
Al pari di quanto è facile e veloce ottenere e fornire informazioni, si potrebbe pensare che sia altrettanto facile e veloce costruire quella rete sociale di cui tutti abbiamo bisogno, ma che per funzionare ha necessità di rispettare i modelli sui quali abbiamo appreso a costruirla.

Esattamente come per l'eccesso di informazioni, la maggior parte delle amicizie virtuali create in questo modo potrebbero essere false, superficiali o perfettamente inutili.
Ma cosa significa essere “amico” su Facebook?
Tutto e il contrario di tutto.

Partiamo dal fatto che l’amicizia nella vita reale presuppone la conoscenza; conoscere qualcuno può voler dire molte cose e non solo in termini di profondità e quantità della conoscenza.

L’amicizia implica una serie di confessioni o rivelazioni intime che vanno oltre i confini della privacy e che mettono in relazione due o più persone. Questa componente di “intimità” si perde parzialmente nei social network, nei quali l’amicizia diviene un qualcosa di pubblico o meglio “esposto”.

Nel mondo dei social network, l’amicizia è un concetto profondamente diverso.
Certo sarebbe sbagliato dire che le persone non sanno più distinguere tra una vera amicizia ed un’amicizia virtuale, comunque si potrebbe dire che i due concetti si stanno avvicinando.

Si possono conoscere molte cose di una persona, ma a un grado superficiale di intimità o al contrario poche cose, pochi dettagli, ma molto personali e intimi (mai provato a vedere cosa accade fra perfetti estranei in una chat?).
Ma c’è un altro aspetto della conoscenza che può essere preso in considerazione in questo ragionamento ed è la reciprocità o, potremmo dire, la bidirezionalità:

io so di te tanto quanto tu sai di me, in termini di quantità e intimità dell’informazione?

Sui social network si può sperimentare il caso di una totale asimmetria della conoscenza: una persona può sapere moltissimo di me senza che io sappia altrettanto di lei, fino all’estremo di non conoscerla affatto.

Questo dipende da quello che io rendo disponibile sulla mia vita, dall’intensità con cui l’altro si occupa del mio profilo e dalla opposta mancanza di attenzione che io pongo alla sua persona, digitale e non.

Questo tipo di “relazioni” si definiscono parasociali e non sono esclusive dei social network. Anche un blogger può essere l’oggetto privilegiato dell’attenzione di tanti che rimangono ai suoi occhi totalmente ignoti. Ed è sempre sorprendente scoprire che qualcuno “ti conosce” in questo modo, che la tua “persona digitale” ti precede (e ti sostituisce) nello spazio psichico di altri individui di cui non sai neppure, talvolta, il nome.

Si può affermare che questi sconosciuti ti “conoscono”?

Senz’altro sanno chi sei, ma cosa sanno di te?

Quello che vuoi che sappiano certo, ma la privacy è un concetto da rivedere completamente ai tempi di Facebook perché va trovato un nuovo e inedito compromesso fra quello che vuoi e puoi rendere noto e le necessità intrinseche della partecipazione al network.

Un profilo completamente privato equivale alla non partecipazione, il disinteresse all’aggiornamento della propria pagina si traduce in un oblio all’interno del sistema e a un progressivo allontanamento alla periferia del nodo, con la perdita dei vantaggi insiti nell’appartenenza.

Una partecipazione sciatta e svogliata non solo esclude, ma restituisce un’immagine non desiderabile di sé, elemento sgradito in un mondo dove la tua persona digitale sei tu e tu sei la tua persona digitale.

Anche un profilo senza foto dà noia, perché viola le regole dell’iper-presenza, così come dà una cattiva impressione un profilo povero di contenuti.

Se non ci sei, o non ci sei al meglio, non esisti per un social network.
Se non ci sei, è come se non avessi fatto niente di buono o veramente degno nella tua vita!

Lasciare una traccia di sè è sempre stata una necessità insita in tutti gli esseri umani di tutte le epoche storiche, in passato si usavano i ritratti, oggi i social network. I ritratti davano come un senso di ricchezza e di eternità, ma soprattutto davano importanti informazioni riguardo alla persona ritratta: ambizioni, carattere e status sociale. Allo stesso modo, i profili di Facebook possono indicarci i principali tratti psicologici dei loro possessori, e più in generale possono darci un’idea di come siano i giovani e di come questi vedano sè stessi.

Gli autoritratti (intesi in qualsiasi forma) mostrano quindi come gli autori vedano se stessi, come vorrebbero essere, inoltre chiarificano o nascondono alcuni tratti della personalità. Alcuni mostrano egoismo, narcisismo, fiducia in sè stessi, mentre altri mostrano tutto il contrario.

I “ritratti” o profili che vengono creati su internet servono a fare conoscenze, a trovare l’amore e a creare quella moderna ed ambigua cosa chiamata “connessione sociale”.

I social network sono però ancora in uno stato che potremmo definire “embrionale”, ma nonostante ciò stanno già influenzando tantissimi aspetti della vita, la politica, il linguaggio, modi di fare.

C’è gente che non fa più una mossa, un acquisto, una scelta, senza aver consultato il proprio network, che è una fonte inesauribile di esperienze e consigli.

Non accettare una richiesta di amicizia viola la regola implicita del villaggio e si carica di significati di rifiuto quasi incomprensibili: “perché non vuole essere mio “amico”?

Se “amico” sul network significa che ci siamo incontrati tre anni fa al mare, perché non posso essere suo “amico”? Se leggo il suo blog e lo stimo posso ben essere suo “amico”!
E a nulla vale l’obiezione del “io non ti conosco”.

Ai tempi delle relazioni parasociali è sufficiente che mi conosci tu.

E in tutto questo è evidente l’’importanza della “virtual friendship”; un aspetto importante di Facebook, è il numero di amici che una persona ha, anzi, molti studiosi vedono in questa gara la vera ragione di esistere dell’intero social network.
E’ significativo il bisogno di “collezionare” quanti più amici possibili; questo bisogno (che alcuni definiscono “impulso”) non è l’espressione concreta del bisogno umano di compagnia, ma la forte necessità di crearsi uno status per sentirsi importanti.

Un esempio eclatante di tutto ciò sono le persone che creano degli account fake e si fingono dei vip, tutto ciò per adescare centinaia di fans da aggiungere alla propria collezione di amici. Questo comportamento che potrebbe sembrare insensato è in realtà un comportamento atto provare la propria importanza, a crearsi uno status anche se fasullo.

Sul New York Times è stato pubblicato un fantastico articolo che descrive i meccanismi psicologici e sociologici alla base della Facebook mania e della diffusione di applicazioni come Twitter e di altre forme di microblogging come i tumblr.

E' lunghissimo, ma ho provato a sintetizzarlo per me e per voi, perchè dà conto e ragione di un fenomeno esplosivo che sta cambiando la vita di tanti.

Che cosa spinge milioni di persone a condividere incessantemente minuto per minuto la propria vita e altrettanti milioni di persone a interessarsi incessantemente minuto per minuto della vita altrui?

Gli scienziati sociali la chiamano “consapevolezza ambientale” e , a quanto pare, è per molti irresistibile.
E’ una specie di consapevolezza estrema del ritmo della vita di qualcuno altro, un ritmo mai conosciuto prima. Si può sapere quando un contatto sente le prime avvisaglie di un raffreddore e poi scopre di avere la febbre e poi, dopo qualche ora, si sente meglio. Oppure si può sapere chi sta avendo una pessima giornata al lavoro, quali siti sta visitando (con il tumblr) dove si trova fisicamente o cosa sta pensando o se si sta facendo un panino.

Il paradosso della consapevolezza ambientale è che ogni piccolo aggiornamento, ogni singolo bit di informazione sociale è insignificante di per sé, anche estremamente superficiale talvolta. Ma prese tutte insieme, nel tempo, queste microinformazioni diventano un ritratto sorprendentemente sofisticato della vita altrui, fornendo la possibilità di un’esperienza psicologica interpersonale del tutto inedita.

Nel mondo reale nessuno telefonerebbe a qualcuno per dettagliargli il fatto che sta mangiando un panino o che sta visitando un certo sito internet o che si trova in biblioteca. L’informazione così minuta e in tempo reale si trasforma in una sorta di lettura della mente a distanza.

E’ come se ogni contatto avesse una sorta di display collocato sulla fronte.

Ma c’è di più. Se leggo su twitter che un contatto del mio gruppo sta andando al bar o sta pianificando di andare a un concerto, posso decidere di imitarlo e/o di raggiungerlo.
E se lo incontro faccia a faccia è come se non fosse mai stato veramente lontano da me. Non c’è bisogno di chiedergli “cosa hai fatto oggi?” perché lo sai già.
Al contrario puoi cominciare a discutere di ciò che l’altro ha twitterato quel pomeriggio come se ci sia stata una conversazione nel mezzo.

Si finisce per realizzare un legame sociale spesso più intimo di quello che si ha con certi familiari o amici con cui ci si sente qualche volta al mese. Di essi non si conoscono dettagli come una recente emicrania di tre giorni, e non si riesce a esordire con nonchalance con un “come ti senti oggi?”

E’ paradossale se pensiamo che in realtà i siti di social networking sono stati creati per stimolare l’interazione fra le persone mentre in realtà hanno contribuito a isolarle. Secondo diverse ricerche il numero di ore che le persone trascorrono interagendo faccia a faccia con gli altri si è ridotto drasticamente dal 1987, parallelamente alla diffusione dei mezzi elettronici. E in meno di vent’anni è triplicato il numero di individui che affermano di non avere nessuno con cui discutere di problemi importanti. Di contro ci sono facebooker con centinaia di amici!

Nel 1998, l’antropologo Robin Dunbar stimò che il massimo numero di connessioni sociali che un essere umano può avere è di 150 persone, e diversi studi psicologici hanno confermato che i gruppi umani che si costituiscono spontaneamente si aggirano intorno alle 150 unità, fenomeno che è chiamato appunto Numero di Dunbar.

La domanda è allora: le persone che usano twitter o facebook possono elevare il loro dunbar number?

In realtà le persone sembrano mantenere pressocchè inalterata nel numero la loro cerchia di amici intimi, benchè il contatto incessante renda i legami incommensurabilmente più ricchi.
Ciò che si accresce a dismisura è il numero dei conoscenti, persone che si sono incontrate a un congresso, vecchi amici del liceo o persone incontrate a una festa.

Prima dell’avvento di queste applicazioni di social network questi legami deboli e transitori si spezzavano facilmente e uscivano rapidamente dall’attenzione e dalla vita delle persone.

Stabilito un contatto su Facebook invece, questi fortuiti incontri del destino cominciano a esistere, per di più in una forma inedita ed estremamente saliente e finiscono per non essere più perduti.

E questo, si capisce, è bello e utile. Aumenta la nostra capacità di risolvere i problemi per esempio. Si metta il caso di star cercando un nuovo lavoro. Nella cerchia di amici può non esserci nessuno in grado di aiutarci, ma un conoscente con cui è vivo un legame tecnologico su facebook può aiutarci eccome.

Un altro aspetto importante da un punto di vista psicologico, e che spiega come possa essere possibile seguire anche centinaia di persone al giorno, è il fatto che l’update di un facebook o di un twitter non è come una mail, che è rivolta specificamente a noi e richiede il 100% della nostra attenzione, che dobbiamo aprire e valutare, e a cui, nella maggior parte dei casi, dobbiamo rispondere.

Gli update di Facebook sono tutti visibili in una singola pagina e non sono realmente diretti a noi. Questo li rende simili ai titoli dei giornali. Puoi leggerli oppure no.

E’ come essere in un paesino di provincia, anche se ha la dimensione di una metropoli.
Credo che la cosa possa produrre effettivamente un certo sgomento.
Tutti sanno tutto di tutti.

Le opinioni su Facebook sono spesso radicali: da alcuni è additato come lo specchio di una società narcisista o autoreferenziale, da altri come la “polis” dove ognuno trova libertà di espressione.

La verità è che lo spazio virtuale diviene ambiente percettivo dove icone e bottom rimandano intuitivamente alla loro funzione. Di conseguenza, accessibilità e controllo, insieme alla varietà delle operazioni possibili, ne rendono l’uso piacevole e gratificante.

Ognuno accede a Facebook con le sue “chiavi” : e-mail e password; accetta o ignora nuove amicizie; pubblica foto; scrive a cosa sta pensando; apre la chat e controlla chi è on-line; partecipa a gruppi e sottogruppi; controlla il proprio acquario virtuale e quando l’ora è tarda con un ultimo clic decide di uscire sperando che al prossimo accesso ci saranno novità.

ll problema è avere il coraggio di guardare dall’altro lato della medaglia: accessibilità, controllo ed eccitazione per la mole di input a disposizione sono anche i tre fattori che facilitano l’insorgenza di comportamenti di dipendenza.
Come accade per altri ambienti-Internet, anche nei confronti di Facebook si possono, infatti, sviluppare condotte di abuso che rimandano al più ampio concetto di abuso tecnologico: comportamenti accomunati da un uso eccessivo e abnorme delle tecnologie, che tendono a compromettere l’equilibrio psicobiologico dell’individuo e a danneggiarne l’adattamento lavorativo e socio-relazionale.

Non mancano, infatti, all’interno del web le definizioni di un presunto “Facebook Addiction Disorder” e non è difficile trovare prontuari fai-da-te che suggeriscono i passi necessari per liberarsi da una eventuale dipendenza.

Non escludete il fatto che in un prossimo futuro internet non entri nelle nostre vite fin dalla culla, ma per ora non siamo ancora a quel punto, e mi spaventa alquanto l'idea che ci si possa un giorno arrivare.
L'impressione che si sta diffondendo attraverso i social network è quella di rappresentare un buon surrogato della televisione.

Prima di internet l'obiettivo di molti, soprattutto giovani, era trovare un posto in TV per dimostrare al mondo, o forse solo a sè stessi, di esistere. Oggi, in quello che è sicuramente destinato a diventare il mezzo di comunicazione di massa del ventunesimo secolo, questo obiettivo è a portata di mano per tutti.

Un profilo su Facebook non si nega a nessuno, e nessuno sembra voler rinunciare a far sapere al resto del mondo (almeno quello che usa internet), che esiste, che c'è, e soprattutto cosa ha fatto la sera prima!
Se il motto dell’Oracolo di Delfi diceva “conosci te stesso”, oggi, nel mondo di Facebook, il motto è diventato “mostra te stesso”.
I social network sono dunque spesso e volentieri l’unica forma di esibizionismo, narcisismo e richiesta di maggiore considerazione, ma cercando di apparire migliori di quanto non siamo su Facebook, dimentichiamo di migliorarci effettivamente nella vita reale.

Tutto ciò rivela una sorta di timore o meglio vera e propria paura di una vera amicizia che potrebbe rivelare la nostra vera vulnerabilità e inadeguatezza.

Paura delle emozioni di un affetto reale da cui prendiamo inconsapevolmente una “distanza di sicurezza”. Su questo credo che tutti, giovani e adulti, figli, educatori e genitori … FB (faremmo bene) … a riflettere.

Caterina Corea