Cronaca

Caso Stefano Biondo, intervista alla sorella

SIRACUSA, 2 GIUGNO 2012 -  Poco meno di un mese fa vi abbiamo fatto conoscere il caso di Stefano Biondo, ragazzo con disabilità psichica di 21 anni che, ricoverato presso una struttura, l'"Oasi della Speranza" nella quale ha invece trovato la morte, dopo una serie di manovre maldestre che avrebbero dovuto contenere una sua crisi. Chi scrive era stato colpito dall'appello, lanciato anche in rete, fatto dalla sorella di Stefano, Rossana La Monica, alla quale abbiamo fatto qualche domanda.

Chi era Stefano?

Mio fratello era un ragazzo buono, dolce e affettuoso, bellissimo, molto legato alla sua famiglia, amava le feste, le moto i treni, i gelati, il mare. Stefano era una giovane sanissimo dal punto di vista fisico di soli 21 anni, i suoi esami di laboratorio del 19/01/2011 avevano tutti i valori nella norma, appena 6 giorni prima di questa crisi e del suo tragico epilogo.

Cosa significa avere un “disturbo generalizzato dello sviluppo associato a un ritardo mentale” e, dal tuo lato, cosa significa condividere ventuno anni della propria vita con persone che hanno questo disturbo?

Stefano è stato fino all’adolescenza un bambino speciale, ha avuto momenti di chiusura autistica e momenti in cui comunicava le sue emozioni, ha parlato e camminato tardi. Il ritardo mentale c’era e si capiva pur essendo di una bellezza sconvolgente, e dotato di un bel senso dell’umorismo.
I problemi veri sono sorti dopo la separazione dei suoi genitori, (condividevamo la mamma) coincisa con la sua pubertà.
A quel punto iniziano le crisi, purtroppo non più affrontabili in casa, anche per seri motivi di salute della mamma.[MORE]

Nell'appello che tu hai scritto – e che io ho conosciuto tramite Antonio Condorelli – hai scritto che «non lo volevano in nessuna delle comunità terapeutiche di Siracusa e provincia a causa delle sue crisi». Di che tipo di crisi soffriva Stefano? Io non conosco la situazione delle strutture di Siracusa e provincia, dunque ti chiedo: credi che il rifiuto di ospitare tuo fratello sia dovuto a mancanza di infrastrutture o al non voler avere problemi?

Nessuna struttura si è dimostrata idonea per mio fratello. Nessuna ha mai applicato un metodo e un programma terapeutico adeguato, una terapia mirata o quant’altro potesse servire per un inserimento ottimale e duraturo. Le strutture in cui è stato ospite Stefano sono molte, ma a mio parere sono solo dei parcheggi, il personale non è assolutamente qualificato. Infatti, Stefano se saputo gestire era dolcissimo, lo dimostra il fatto che con noi Stefano negli ultimi anni non aveva crisi, o perlomeno quando doveva averle piangeva e basta, aveva bisogno di essere compreso e trattato con dolcezza.

Arriviamo poi all'”Oasi della speranza”. Una speranza che per voi si è trasformata in un incubo. Puoi raccontarci cosa è successo?

Stefano entra in TSO nel reparto di psichiatria dell’Ospedale Umberto I di Siracusa nell'agosto del 2008, dopo uno dei tanti falliti ricoveri in istituto psichiatrico. Da allora e fino al 24 gennaio 2011 è rimasto in quel reparto: per lui si erano chiuse tutte le porte delle strutture psichiatriche di Siracusa e provincia e solo perché durante le crisi aveva rotto qualche oggetto.
Noi come famiglia non potevamo permettere che Stefano rimasse sempre chiuso in un reparto dove giornalmente sono ricoverati i casi più gravi, quindi ci siamo dati dei turni e con l’aiuto di un accompagnatore Stefano usciva dall’ospedale quattro cinque volte la settimana in permesso, pranzava con noi, andavamo al mare, a fare la spesa, alla stazione ferroviaria a vedere i treni che lui amava tantissimo, facevamo lunghe passeggiate alla marina, ci occupavamo della sua igiene personale. Insomma garantivamo a mio fratello ciò che era necessario, gli offrivamo un barlume di vita normale. Non ci rassegnavamo a saperlo in quel reparto.

Grazie al provvedimento della Giudice Milone del Tribunale di Siracusa - una donna, e ci tengo a precisarlo perché sicuramente più sensibile, che ha intimato al Sindaco e ai responsabili ASP di trovare entro un mese una struttura idonea per ospitare Stefano, finalmente mio fratello viene trasferito nella comunità’ alloggio di Via delle Madonie a Villaggio Miano e questo solo dopo circa quindici giorni di viaggi in quella struttura per farlo socializzare e abituare alla sua nuova destinazione. Mio fratello aveva dimostrato di essere contento di quella sistemazione ed era stato trasferito lì solo da un giorno, quando martedì 25 gennaio alle 17, 39 mi sono sentita chiamare d’urgenza e mi informavano di un’improvvisa crisi di Stefano. Giunta sul posto insieme a mio marito, ho trovato mio fratello disteso a terra, era legato con un filo elettrico, chiaramente raccattato da qualche parte con urgenza ed ho intuito immediatamente che Stefano stava molto male. L’infermiere professionale che era presente e che era stato affiancato ad un suo collega per garantire dei turni di assistenza a Stefano, mi tranquillizzava dicendo che aveva fatto una dose da 100 di un indeterminato calmante, ma io che ho frequentato un corso di primo soccorso avevo intuito la gravità delle condizioni di mio fratello. Il polso era assente e non sentendo neanche il polso carotideo ho praticato la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco, nonostante avessi la consapevolezza che mio fratello era già morto. L’ambulanza che era arrivata non era quella attrezzata per l’emergenza del caso, non era stato comunicato il codice rosso e quindi non avevano dietro il defibrillatore. Solo dopo mezz’ora è arrivata quella con il medico, attrezzata all’emergenza. Ma era già tragicamente troppo tardi per salvare la vita al mio Stefano.

Le due autopsie fatte parlano entrambe di morte per «asfissia meccanica da soffocazione causata o dalla chiusura diretta di naso e bocca o dalla compressione della gabbia toracica», come scriveva il dottor Francesco Coco e come hai poi raccontato a Stefano, erano stati bloccati i polsi con un cavo. La mia domanda a questo punto è: che tipo di aiuto si stava cercando di dare a tuo fratello in questo modo?

Ma che aiuto! Nel tentativo di contenerlo, da una crisi per me inspiegabile, un “infermiere professionale” ha attuato delle manovre errate e perseverando ha scambiato i disperati tentativi di Stefano di prendere aria, di respirare, per agitazione psicomotoria, soffocandolo! E non ha fatto nulla per rianimarlo! Né lui né le altre 4 persone presenti tra cui l’infermiera professionale della struttura L’Oasi della Speranza.

Nonostante due autopsie abbastanza eloquenti, il pubblico ministero Longo ha chiesto l'archiviazione e, come mi dicevi in una mail che ci siamo scambiati, le due commissioni parlamentari non si sono mosse poi più di tanto (c'è stata solo la richiesta della commissione Orlando verso l'assessore Russo che però non ha trovato risposta). Ti chiedo innanzitutto se in queste settimane è cambiato qualcosa e se ti sei data una risposta per questo immobilismo.

Non è cambiato nulla per le commissioni parlamentari, però il G.I.P. Alessandra Gigli con l'ordinanza che rigetta l’archiviazione, ha richiesto un supplemento d’indagini. Spesso fa comodo a tutti fare passare in silenzio casi come questo. Io mi sono attivata attraverso il web affinché più persone conoscessero cosa è capitato a Stefano e non starò in silenzio finché mio fratello non avrà giustizia.

Tu hai da subito detto che materialmente Stefano è morto per mano dell'infermiere – di cui ancora non possiamo fare i nomi – ma i mandanti sono da cercare ai vertici. Cosa ti spinge ad avere questa certezza?

Stefano ha avuto oltre alla sfortuna della sua malattia anche quella di vivere in questa città dove questo caso e tanti altri non sono mai stati sufficientemente all’attenzione delle Autorità Sanitarie locali e regionali, dello stesso Comune. Mi sono rivolta invano ai dirigenti dell’Asl ora ASP, Dott. Lo Magro, (responsabile delle Comunità Terapeutiche Assistite Asp), Dott. Madeddu (Coordinatore Sanitario Area Territoriale Asp), Dott. Maniscalco (direttore generale ASP), Dott. Saetta. (responsabile della medicina riabilitativa Asp). Quello che mi hanno risposto spero di poterlo raccontare davanti a un giudice.
Mi sono rivolta chiedendo aiuto e assistenza all'assessore alle politiche sociali, allora Castagnino, a tutte le associazioni per disabili, al Tribunale del Malato, all’Assessore alla Sanità Russo, al Sindaco di Siracusa, sono stati pubblicati tre articoli che denunciavano questa gravissima inadempienza da parte della Sanità Pubblica. Ho presentato regolare denuncia alla Procura della Repubblica e mi sono rivolta al Giudice Tutelare.
Ho supplicato, elemosinato per anni un diritto per mio fratello, essere curato adeguatamente, e quindi un posto idoneo, mentre altri malati dalla psichiatria erano mandati nelle varie strutture ma Stefano mai! Ma adesso un posto l’hanno trovato, dove non darà più fastidio una bara!

Ho da raccontare questa dolorosissima esperienza, che non mi riporterà indietro il mio amato fratello. Sento il bisogno di dire a tutte le famiglie che hanno a loro, interno un malato psichico di chiedere con forza che siano rispettati i diritti dei malati e che siano approntate le strutture necessarie, queste non sono malattie improvvise e un azienda sanitaria deve saper programmare il numero di posti per fare fronte a queste necessità. Un malato autistico, come altri malati con patologie non curabili sono registrati ed è incomprensibile che un’Azienda Sanitaria in tanti anni non si sia adeguatamente attrezzata ad accoglierli, curarli e farli stare sufficientemente bene.

E’ forse il caso che ci poniamo degli interrogativi. E’ giusto quello che è successo a un ragazzo disabile di 21 anni, la cui morte è stata solo il culmine di un calvario tra il disinteresse generale verso la sofferenza di un bimbo perché questo era mio fratello e la sofferenza di una intera famiglia? Se la risposta è no, cosa intendiamo fare perché questo non accada più?

(foto: ilcofanettomagico.it)
Andrea Intonti