Cronaca

Caso Pomì, ennesima campagna pubblicitaria nel mirino della rete che boicotta

NAPOLI, 04 NOVEMBRE 2013 - Dopo i polveroni di Enel e Barilla, anche la Pomì entra trionfante nella lista nera delle aziende da boicottare, per la rete, a seguito di una campagna promozionale che ha suscitato non poche polemiche. Con le oramai quotidiane rivelazioni del pentito Schiavone e il focus sulla “Terra dei fuochi”, la volontà dell’azienda meridionale di voler specificare l’origine dei propri prodotti, è stata intesa da tanti come un’azione di marketing tesa a cavalcare l’onda del disastro ambientale campano. In particolare, si pone l’attenzione sulla depenalizzazione che determinate aree meridionali, lungi dall’essere annesse al “triangolo della morte”, possano subire da una più generale assenza di una vera e propria mappatura chiara delle aree compromesse.

Nelle note del manifesto incriminato, si legge: “Pomì utilizza solo pomodori freschi coltivati nel cuore della Pianura Padana a una distanza media inferiore ai 50 km dagli stabilimenti di confezionamento”.

In seguito alle proteste su internet, così risponde l’azienda: “I recenti scandali di carattere etico/ambientale che coinvolgono produttori ed operatori nel mondo dell’industria conserviera stanno muovendo l’opinione pubblica, generando disorientamento nei consumatori verso questa categoria merceologica. Il Consorzio Casalasco del pomodoro e il brand Pomì sono da sempre contrari e totalmente estranei a pratiche simili, privilegiando una comunicazione chiara e diretta con il consumatore. Per questo motivo l’azienda comunicherà sui principali quotidiani nazionali e locali, ribadendo i suoi valori e la sua posizione in questa vicenda”.

Si tratta di un atto dovuto non soltanto nei confronti dei consumatori”, conclude il comunicato, “ma anche nel rispetto delle aziende agricole socie, del personale dipendente e di tutti gli stakeholders che da sempre collaborano per ottenere la massima qualità nel rispetto delle persone e dell’ambiente”.

Necessità di specificare doverosa, o un clamoroso epic fail?

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foto: repubblica.it

Dino Buonaiuto