Cronaca
Caso Di Vincenzo, la replica di Lumia
CALTANISSETTA, 10 NOVEMBRE 2011 – Lo scorso 25 ottobre Pietro di Vincenzo si era presentato davanti alla Direzione distrettuale nissena, accusato di riciclaggio, estorsione ed intestazione fittizia di beni, facendo i nomi di quei politici che – da destra a sinistra – lo avrebbero aiutato nella sua opera di intervento sulla burocrazia al fine di favorire la sua azienda nella corsa agli appalti pubblici. Uno dei nomi più importanti fatti dall'ex presidente di Confindustria di Caltanissetta era stato quello del senatore Giuseppe Lumia (nella foto), che nei giorni scorsi ha replicato – attraverso una nota pubblicata sul quotidiano Sud Press – alle accuse. Eccone i passi più importanti. [MORE]
«Di Vincenzo» - scrive il senatore - «è stato destinatario di una misura di prevenzione personale di tre anni e mezzo. La magistratura gli ha sequestrato un patrimonio di ben 300 milioni di euro, ritenendolo colluso con la mafia. Dare credito alle sue dichiarazioni è come credere a Riina o Provenzano quando se la prendono con quei politici che secondo loro li hanno danneggiati».
«Il nome di Di Vincenzo» - prosegue il senatore - «salta fuori già nel 2002, grazie ad un mio intervento nell'audizione della Commissione antimafia del 21 maggio in cui chiedevo delucidazioni sul sistema delle collusioni intrattenute da Cosa nostra nel settore degli appalti.
Il 19 ottobre del 2004, in occasione di un'altra audizione con diversi magistrati, tra cui il procuratore distrettuale antimafia Piero Grasso, approfondisco gli interessi del Di Vincenzo nella gestione dei dissalatori in Sicilia: la figura dell'imprenditore, che agisce come punto di partenza dalla provincia di Caltanissetta, ci fu delineata dalla Direzione distrettuale antimafia sia di Palermo che di Catania come l'erede del gruppo imprenditoriale Salomone-Miccichè. Tra le attività da lui gestite nella provincia di Agrigento viene segnalato anche lui come gestore dei famosi dissalatori, una grossa attività presente in Sicilia, in cui sostanzialmente ha un ruolo di monopolio».
«Abbiamo parlato di Di Vincenzo per il campo dei rifiuti a Caltanissetta, ma potremmo avere la sua presenza nella regione nel campo non solo dei dissalatori ma anche di altri servizi importanti. Di Vincenzo è l'erede in linea dei cavalieri del lavoro. Sarebbe interessante capire perché da Catania ci si sia spostati ad Agrigento (su Micciché, Salomone e Campione) e poi da Agrigento a Caltanissetta. Forse per l'abilità di Di Vincenzo? Perché cosa nostra ha deciso di favorire in questa parte della provincia una collocazione dei propri interessi? Sarebbe inoltre importante capire l'escamotage tecnico di Di Vincenzo volto ad aggirare la normativa antimafia, questa sorta di affitto, chiamiamolo così, in modo rozzo della propria proprietà onde poter impunemente mantenere tutte le sue attività e ingaggiare una sfida con lo Stato».
«Nell'ATO rifiuti sono presenti il Di Vincenzo e il Gulino che fanno parte di un'associazione temporanea di imprese che si è aggiudicata un appalto, con certificati antimafia in regola e senza nessun preavviso (inchiesta giudiziaria o organi di stampa) che facesse presagire il sistema di collusione che è poi emerso. Infatti, è stato gravemente svelato che il Di Vincenzo è stato condannato in primo grado ed è sottoposto ad una misura di prevenzione personale di ben tre anni e mezzo, il Gulino invece è coinvolto nella vicenda Messinambiente. Di fronte a questo, l'Avvocatura dello Stato si è addirittura preoccupata di suggerire – fatto gravissimo – la previsione di un comodato d'uso da affidare a un commercialista di Caltanissetta, per sfuggire ai rigori della legge che non consentivano più alla holding di Di Vincenzo di avere il certificato antimafia. In questo clima, hanno potuto gestire i rifiuti a Caltanissetta e si preparavano (meno male che il fatto non si è ancora consumato) ad interferire nella gestione dei rifiuti nella nuova versione istituzionale dell'ATO».
Andrea Intonti