Interviste

Carlotta Proietti, attrice e cantautrice romana Intervista di Andrea Giostra

«Ci sono molti attori e attrici che stimo ma credo nessuno da cui traggo ispirazione diretta. Di certo osservando molto mi capita di “rubare”, ma più dalle persone che incontro tutti i giorni che da chi fa il mio stesso lavoro!» di Andrea Giostra 

Ciao Carlotta, benvenuta e grazie per la tua disponibilità e per aver accettato il nostro invito. Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista?

Che domanda difficile! Direi che sono un’attrice e cantante di Roma. Che amo questo lavoro e amo il teatro.

Chi è Carlotta donna e chi Carlotta attrice e cantautrice?

Credo siano la stessa persona... e che come tutti ha avuto le sue evoluzioni e crescite. Ho iniziato come cantautrice e il canto mi ha fatto scoprire che volevo imparare di più di me. Proprio questa curiosità e la voglia di migliorarmi mi hanno portata a recitare.

Qual è stato il percorso artistico/professionale che hai seguito e che ti ha condotta dove sei ora?

Ho fatto un percorso piuttosto anomalo: ho iniziato cantando perlopiù cover e standard jazz e blues in alcuni locali romani. Contemporaneamente scrivevo canzoni, testi e musiche, scrivevo tanto. I brani originali hanno cominciato a far parte del mio repertorio finché non hanno preso il sopravvento su tutto il resto. Al contempo però mi hanno chiamata a lavorare in teatro. Ma sempre solo come cantante (alla recitazione non ci pensavo minimamente). Così, rendendomi conto che avevo bisogno di maggiori nozioni tecniche per stare su un palcoscenico, ho deciso di frequentare una scuola di teatro. Così ho scoperto il mondo della recitazione, mi sono messa in gioco e da allora non mi sono fermata.

Ci parli della tua carriera di cantautrice e delle opere che hai prodotto? Come sono nate, cosa le ha ispirate e quali i messaggi che vuoi arrivino a chi le ascolta?

Scrivere per me è sempre stato un bisogno, un istinto naturale. Così sono nate storie, canzoni, poesie, racconti... alcune di queste composizioni sono diventate musica, altre no. Il contenuto è soprattutto intorno al sentimento, all’amore, a quello che rimane di un incontro. In alcuni casi mi è piaciuto giocare coi suoni delle parole e creare più dei “divertissement” che non dei brani di cantautorato “puro”, per così dire... ho sempre seguito l’istinto e non le mode, le idee che avevo in testa e non degli schemi imposti. Volevo arrivasse semplicemente qualcosa di gradito, non ho mai avuto la pretesa di lasciare un messaggio specifico.

Sei anche attrice. Chi sono e chi sono stati i tuoi maestri d’arte, se vogliamo usare questo termine? Qual è stato il tuo percorso formativo ed esperienziale nel mondo della recitazione?

Ho studiato al “Cantiere Teatrale” di Paola Tiziana Cruciani. Ero andata lì per migliorarmi, “sciogliermi” fisicamente, soprattutto l’obiettivo era questo, e volto solo al canto. Non a diventare un’attrice. Però mettendomi alla prova ho scoperto che mi divertivo un mondo. Ho imparato cos’è un gruppo, il lavoro di squadra che poi equivale a stare in una compagnia, a sapersi rimbalzare sulla scena con dei compagni di lavoro. E mi è piaciuto! Sicuramente nella figura di mio padre trovo costantemente una guida e un esempio, nell’approccio al lavoro, nella serietà e nel gioco.

Come definiresti il tuo stile recitativo? C’è qualche attore o attrice ai quali ti ispiri?

Non saprei rispondere. Mi piacciono molti generi e di conseguenza molti attori, artisti, cantanti, musicisti, danzatori... Può darsi che l’ispirazione, lo spunto venga da tutt’altra forma arte per quel che facciamo, e il bello è proprio questo. Sono una persona curiosa, mi è sempre piaciuto osservare le persone e fare tante domande. Sapere come si dice una cosa in un’altra lingua e conoscere i dialetti diversi dal mio. Tutto questo mi porta a cercare sempre stimoli nuovi per ogni personaggio che mi capita di interpretare; che sia Shakespeare, tragedia greca o sia una donna in una commedia contemporanea. Per cui ci sono molti attori e attrici che stimo ma credo nessuno da cui traggo ispirazione diretta. Di certo osservando molto mi capita di “rubare”, ma più dalle persone che incontro tutti i giorni che da chi fa il mio stesso lavoro!

In Sicilia, e precisamente a Catania, per arricchire la tua formazione, hai anche lavorato con una nostra conterranea, l’attrice e Voice Coach catanese Emanuela Trovato, al momento l’unica artista siciliana ad essere certificata come insegnate del famoso metodo Linklater, una tecnica utilizzata in tutto il mondo sia da attori professionisti e non, che permette, una volta appreso, di liberare la voce naturale. Ci racconti questa tua esperienza siciliana e in particolare con la nostra Emanuela?

Ho conosciuto Emanuela mentre frequentavo il Cantiere Teatrale. Allora insegnava dizione. Mi colpì subito la sua solarità e sincerità nello sguardo. È una persona limpida ed empatica. E simpatica, il che non guasta! Col tempo ho imparato (e questo corso lo dimostra) che è come me una donna curiosa e intraprendente, professionale e sicura dei suoi mezzi. Ho voluto seguire questo corso per approfondire il Linklater che avevo appena “assaggiato” anni fa e mi aveva incuriosita. Si tratta di un metodo che se non trattato in maniera adeguata può spiazzare, perché porta lontano da ogni altra tecnica vocale. O meglio parte da altri presupposti. È stato davvero interessante poter riavvicinare Linklater a Catania e con persone che non conoscevo. Come non mi stancherò mai di ripetere, amo studiare il genere umano, e mettersi in gioco, studiare, quando già si fa questo lavoro è fonte di scoperte sempre nuove. Mi ha dato modo di valutare come sono cambiata e cresciuta negli ultimi anni e quante e quali cose ancora devo scoprire e studiare. Insomma un’esperienza decisamente positiva!

Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito. Secondo te a cosa serve l’Arte, e l’arte della recitazione e del teatro in particolare?

Si ricorre all’arte quando si ha bisogno di stimoli. Andare in un luogo dedicato alla fruizione di arte, dal museo alla sala concerti al teatro è sempre un’esperienza, e le esperienze arricchiscono, aprono la mente, ridimensionano il mondo in cui viviamo. L’arte per sua natura non separa ma integra. Anche quando non capiamo profondamente quel che stiamo guardando o non lo apprezziamo, stiamo comunque dialogando con l’oggetto e con noi stessi, stiamo interagendo; chi come me ha la fortuna di vivere spesso l’esperienza sia dal palcoscenico che dalla sala come spettatrice, si rende conto di quanto forte sia lo scambio tra attori e pubblico, di quanto sia essenziale la presenza delle persone in sala, di quanto ogni replica sia diversa dalla sera prima. Gli stimoli, che lo vogliamo o meno, producono una risposta. Ecco perché l’arte serve, perché è sempre e comunque un’opportunità per riflettere su noi stessi e sul mondo che ci circonda.

Nel gigantesco frontale del Teatro Massimo di Palermo c’è una grande scritta, voluta dall’allora potente Ministro di Grazia e Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile del Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, che recita così: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Tu cosa ne pensi di questa frase? Davvero l’arte e la bellezza servono a qualcosa in questa nostra società contemporanea tecnologica e social? E se sì, a cosa serve oggi l’arte secondo te?

Picasso diceva che “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”. L’arte e la bellezza servono sempre. Oggi come ieri, solo con delle differenze nella comunicazione e nei mezzi. Io non sono tra quelli che demonizzano le nuove tecnologie e i social network. Penso anzi che alcuni mezzi innovativi possono essere estremamente interessanti e rappresentare dei nuovi stimoli. Ma di una cosa sono certa: siamo sommersi di informazioni, come in sovraccarico di sollecitazioni da ricevere e processare, digerire e comprendere. L’arte oggi, forse può insegnarci a scegliere, a selezionare quello che ci serve a crescere e a migliorarci.

«Ho sempre detto che i due registi che meritano di essere studiati son Charlie Chaplin e Orson Welles che rappresentano i due approcci più diversi di regia. Charlie Chaplin in modo grezzo e semplice, probabilmente non aveva il minimo interesse per la cinematografia. Si limita a schiaffare l’immagine sullo schermo, e basta: è il contenuto dell’inquadratura che importa. Invece Welles, al proprio meglio, è uno degli stilisti più barocchi nello stile tradizionale del racconto filmico.» (Conversazione con Stanley Kubrick su 2001 di Maurice Rapf, 1969). Tu cosa ne pensi in proposito? Come deve esser il cinema secondo te? Cosa deve privilegiare, le immagini o il racconto, volendo rimanere alle parole di Kubrick?

 

Kubrick che paragona Welles e Chaplin mi mette in difficoltà!! Io amo il cinema, adoro vedere e anche ri-vedere i film. Amo notare lo stile riconoscibile di un regista, la sua firma poetica. Il difetto, però, di chi fa il mio lavoro, è di essere ipercritici; quando mi capita di vedere un film dove tutto è ben fatto, dalla recitazione alla fotografia, dai ritmi al montaggio ai costumi, sono felice. È quanto di più godurioso si possa provare. Come guardare un’opera d’arte, un dipinto di Raffaello o una scultura di Michelangelo. Mi è capitato di recente guardando “Storia di un matrimonio” diretto da Noah Baumbach. Questo è come deve essere il cinema per me: mentre guardo un film devo dimenticare che c’è una regia, che è tutto finto, che quelli sono attori, che tra una frase e l’altra c’è uno “Stop!” gridato dal regista. Deve colpire a segno l’espressione poetica di chi racconta, sceneggiatore, regista e attori, voglio essere sommersa da sentimenti che in quel momento per me valgono come reali. Cerco lo stupore, la commozione.

Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre spettacoli teatrali, tre film da vedere e tre libri da leggere, quali consiglieresti e perché?

Un detto inglese dice, non importa cosa leggi, basta che leggi. Non c’è detto che mi trovi più d’accordo. Come lettrice posso dire di essere assolutamente istintiva, amo Shakespeare ma non disdegno una rivista, mi appassiono con i thriller, ma ultimamente ho letto “Quando” di Veltroni e l’ho adorato. Poi ho letto un vecchio copione: un testo francese di Hennequin e Veber, per poi rileggere Queneau con “Esercizi di stile”. La fattoria degli animali di Orwell va letto per forza prima o poi… insomma non sono brava a consigliare libri perché come penso a un titolo me ne viene in mente un altro. Ed è una scoperta continua. Per gli spettacoli teatrali, i primi tre che mi saltano in mente e che negli ultimi anni mi hanno colpito di più sono Odyssey di Bob Wilson, L’Arlecchino diretto da Valerio Binasco, e The Dubliners diretto da Giancarlo Sepe. Naturalmente nel mio cuore ci sono gli spettacoli in cui ho lavorato io ma sarei troppo di parte citandoli. Ma il consiglio più prezioso che posso dare è quello di andare sempre e tanto a teatro. In particolare al Silvano Toti Globe Theatre di Roma a seguire la nostra stagione estiva colma di bellissimi testi shakespeariani! Film… ne scelgo tre tra i mille che vorrei consigliare: Il Settimo sigillo di Bergman, La finestra sul cortile di Hitchcock e The Truman Show di Weir.

I tuoi prossimi progetti? Cosa ti aspetta nel tuo futuro professionale che vuoi raccontarci?

Sto lavorando su progetti nuovi che vedranno la luce nel 2021, non vedo l’ora di poterne parlare ma purtroppo è ancora prematuro. Nel marzo 2021 inoltre riprenderemo “The Prudes” che è stato anche a Catania proprio quest’anno. Torneremo a Roma al Teatro La Cometa e speriamo di poter tornare anche in Sicilia!

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