Societa'

Canto, poesia e testimonianza nel carcere di Catanzaro (Foto e Video)

CATANZARO, 27 DICEMBRE - Anche per noi che scriviamo articoli diventa molto difficile trovare le parole più eloquenti per poter raccontare questa esperienza di oggi pomeriggio vissuta dentro le mura del carcere di Catanzaro, in un clima di grande serenità e composta partecipazione da parte dei numerosi detenuti del circuito di Alta Sicurezza.[MORE]

Una dimensione molto “intima”, resa delicata dalla presenza del coro polifonico “S. Antonio” di Catanzaro, diretto dal M° Giulio De Carlo e dalla testimonianza, forse è più giusto dire, catechesi, di Don Gaudioso Mercuri, il giovane prete che ha fondato nella piana di Gioia Tauro l’ASD Saint Michel, la squadra di calcio benedetta da Papa Francesco, che proprio nei mesi scorsi ha disputato una partita di calcio all’interno della struttura carceraria.

L’evento, organizzato dal commediografo Mario Sei e condiviso con il Direttore della struttura Angela Paravati, è riuscito nell’intento di raccontare un’altra realtà, sconosciuta ai molti, una dimensione che sembra non appartenerci, lontana e forse da evitare, ma che ha permesso a persone che arrivano dall’esterno, ci riferiamo al numeroso coro, di “conoscere” più da vicino una difficile ed insolita realtà umana.

“Vedrai miracoli, se crederai” è il titolo dato all’evento e reso ancora più incisivo grazie alle belle parole (alcune in aramaico, che come ha precisato Don Gaudioso, era la lingua parlata da Gesù) dall’omonimo canto, tratto dal film “Il principe d’Egitto” , che raffigura l’Esodo del popolo ebraico, guidato da Mosè verso la Terra Promessa.
Tanti quindi i richiami alla libertà dal peccato, alla redenzione, alla necessità di non perdere la fede, alla speranza di vivere la vita, nonostante tutto e poi, nella catechesi di Don Gaudioso Mercuri, il riferimento alle parole di Papa Francesco, pronunciate in occasione del Giubileo dei carcerati dello scorso 6 novembre, che citiamo testualmente:

“Oggi celebriamo il Giubileo della Misericordia per voi e con voi, fratelli e sorelle carcerati. Ed è con questa espressione dell’amore di Dio, la misericordia, che sentiamo il bisogno di confrontarci. Certo, il mancato rispetto della legge ha meritato la condanna; e la privazione della libertà è la forma più pesante della pena che si sconta, perché tocca la persona nel suo nucleo più intimo. Eppure, la speranza non può venire meno.

Una cosa, infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il “respiro” della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno. Il nostro cuore sempre spera il bene; ne siamo debitori alla misericordia con la quale Dio ci viene incontro senza mai abbandonarci (cfr Agostino, Sermo 254, 1).

Oltre la bella testimonianza di fede di Don Gaudioso anche alcune poesie composte e lette dalle stesse autrici: Elda Bongarzone e Francesca Lamanna , due componenti dello stesso coro polifonico, su temi importanti, che hanno maggiormente contribuito a sensibilizzare detenuti e persone esterne alla struttura.

Una lettera di un detenuto (Domenico), destinata al giovane sacerdote ha emozionato tutti per le belle parole, per la schiettezza anche con cui ha condannato chi ha delle colpe, ma ha anche parlato dell’esigenza di non essere etichettati a vita, perché il prezzo più alto lo pagano i figli, i giovani figli. Sono lì per scontare una pena, com’è giusto che sia, ma non bisogna additare tutti o fare di tutta l’erba un fascio. Ognuno porta con sé delle colpe, è vero, nessuno può negarlo, ma necessitano di un riscatto, di una seconda possibilità. Anche loro, come tutti, hanno delle proprie storie, delle proprie famiglie alle spalle, forse un proprio destino.

Naturalmente si apre a tal proposito un dibattito che da sempre divide l’opinione pubblica, tra chi considera il carcere un mondo a parte, un mondo lontano dai nostri schemi e chi invece sa che oltre quei muri ci sono persone che hanno sbagliato, che stanno scontando giustamente una pena e che prima o poi saranno uomini liberi (a seconda della gravità della pena) .

Solo se chi è chiamato a contribuire alla loro rieducazione (tutti noi compresi) ne avrà colto il senso avremo persone capaci di redimersi (ci si augura) e di reinserirsi, diversamente resteremo due mondi paralleli che continueranno a convivere, facendo finta che il problema non è nostro ma soltanto loro, ma soprattutto continueremo a pensare che il mondo è separato da quei muri, che seppur molto alti, delimitano soltanto un perimetro, peraltro, all’interno delle stesse città.