Estero
California brucia: 1.300 dispersi, 76 morti
La California continua a bruciare: è salito ad almeno 1.300 dispersi e 76 morti accertati il bilancio delle vittime degli incendi che stanno divorando la regione settentrionale dello stato americano, secondo quanto riportato dallo sceriffo della contea di Butte, Kory Honea. Dallo scorso 8 novembre le fiamme hanno devastato 600 chilometri quadrati di terra e distrutto quasi 10.000 abitazioni. L'incendio è domato per il 55% dai vigili del fuoco e le previsioni meteo annunciano pioggia solo a partire dalla metà della prossima settimana.
Sabato 17 novembre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato accolto dal governatore uscente Jerry Brown e dal governatore eletto Gavin Newsom, entrambi del partito democratico. L'Air Force One è atterrato alla base militare de Beale e da lì Trump si è diretto a Paradise, la zona più colpita dagli incendi, e ha attraversato le ceneri della città della California settentrionale, promettendo di aiutare lo Stato a riprendersi, ma ripetendo la sua convinzione secondo cui è stata la gestione delle foreste - e non il cambiamento climatico - a causare gli incendi. Infatti, in un post su Twitter la scorsa settimana il presidente americano aveva scritto: "Non c'è motivo che spieghi questi incendi boschivi massivi, mortali e costosi in California se non che la gestione delle foreste è così scarsa". Poi ha proseguito sul luogo degli incendi: ”E' triste da vedere, è una devastazione totale, nessuno avrebbe mai pensato che potesse accadere", ha detto il presidente.
Diversi esperti del settore hanno fatto notare però che la gestione delle foreste non c'entra: molti incendi in California, compreso il Woolsey Fire nel sud, sono iniziati tra gli arbusti, non nelle foreste. Inoltre, la gestione delle foreste in California è in gran parte responsabilità federale; circa il 60% dei 33 milioni di acri di foreste dello Stato è di proprietà del governo federale, perciò se Trump sta accusando qualcuno di mancanze nella gestione delle foreste, sta accusando se stesso.
La California è particolarmente dilaniata dagli incendi, che sono un fenomeno ricorrente la cui frequenza e intensità negli ultimi anni è sempre accelerata. In merito, come riporta Il Post, il New York Times ha stilato una serie di cause che potrebbero determinare questi incendi: clima, intervento dell’uomo, gestione delle foreste e venti.
Clima
L’ABC dello sviluppare un incendio sono la vegetazione secca e una scintilla. In California la maggior parte dell’umidità al suolo si accumula nel tardo autunno e durante l’inverno ed evapora progressivamente nella stagione calda. La vegetazione diventa secca durante l’estate – di solito poco piovosa – con alte temperature e molte ore di esposizione alla luce solare. La temperatura media in molte aree della costa occidentale degli Stati Uniti è aumentata e di conseguenza si sono allungati i periodi di forte siccità. Nove dei dieci incendi più grandi dal 1932, anno in cui si è iniziato a tenere registri affidabili, si sono sviluppati negli ultimi 18 anni. Di questi, 5 si sono verificati dal 2010 e due solo quest’anno. Perciò sì, il cambiamento climatico sta sicuramente contribuendo.
Intervento dell’uomo
Oltre ai fatti dolosi ci possono essere numerosi incidenti che danno inizio alle fiamme: ad esempio, avere costruito nuove abitazioni nei pressi di boschi e foreste ha avuto inevitabili conseguenze nell’aumento dei rischi di sviluppare incendi.
Gestione degli incendi
Se inizialmente si riteneva che la strategia da seguire per spegnere gli incendi fosse quella di domarli repentinamente evitando che potessero diventare troppo estesi, ora – dal momento che gli incendi sono un processo naturale, che contribuisce a rigenerare le foreste e su cui se si interviene subito si interrompe il processo di rigenerazione lasciando a terra un grande accumulo di materiale secco che in futuro potrà produrre incendi ancora più grandi e di lunga durata - la strategia seguita dai vigili del fuoco è dedicata a controllare il perimetro degli incendi, in modo da assicurarsi che si diffondano nelle direzioni meno rischiose per la popolazione, attendendo che si estinguano naturalmente.
Venti
Come riporta Il Post, i venti di Santa Ana, che soffiano molto forti nel periodo autunnale portando aria secca dall’entroterra verso la costa, sono un ulteriore ingrediente della ricetta che porta ai grandi incendi californiani. Recenti studi hanno rilevato come le stagioni degli incendi siano sostanzialmente due: la prima da giugno a settembre è frutto di una combinazione di clima più secco e caldo, e che si sviluppa nella California occidentale, di solito nell’entroterra e a maggiore altitudine.
Una seconda stagione è attiva da ottobre ad aprile ed è alimentata proprio dai venti di Santa Ana. Spinti dalle grandi folate di vento, questi incendi si diffondono fino a tre volte più velocemente rispetto agli altri, facendo aumentare il rischio di raggiungere abitazioni e centri abitati, dove trasportano ceneri e frammenti ancora in fiamme. Se le piogge di ottobre non arrivano o iniziano a cadere con molti giorni di ritardo, come è successo quest’anno, i venti possono contribuire a ridurre ancora di più l’umidità e a essiccare territori già interessati da grande siccità. In condizioni simili, poche scintille sono sufficienti per avviare un incendio, che in poco tempo diventa di enormi dimensioni.
Fonte immagine La Stampa
Claudia Cavaliere