Cronaca

Calabria: dall'inizio dell'anno undici cronisti minacciati dalle cosche

CATANZARO - Sono allarmanti i dati registrati da gennaio 2010 a oggi: undici cronisti calabresi, sui 26 casi contati in tutto il territorio nazionale, sono stati vittime di atti intimidatori da parte delle cosche locali.
Chi è del luogo conosce bene i “rituali di avvertimento”: biglietti anonimi, cartucce in busta chiusa, auto esplose, messaggi violenti, sono pratiche di cui, nel triennio 2006 –2009, è stato rilevato un incremento del 300% solo in Calabria.

L’ultima vittima dei clan criminali calabri è stato Saverio Puccio, cronista della redazione di Catanzaro del Quotidiano di Calabria che tre giorni fa aveva scritto un pezzo sullo scioglimento per mafia del Comune di Borgia dove erano riportate le motivazioni del ministero dell’Interno e in cui il cronista – i quanto tale – aveva legittimamente scritto che le cosche, dopo aver determinato la caduta della vecchia amministrazione hanno condizionato il voto amministrativo riuscendo a esprimere la nomina a vicesindaco di Salvatore Marano.[MORE]

La minaccia è arrivata ieri mattina in busta chiusa “Fatti i cazzi tuoi se non vuoi morire”. Semplice, perentoria, lapidaria. Un personaggio, emerge dalle carte dell’operazione “Focus”, in stretto contatto con Giuseppe Cossari, considerato il capo clan. E così lo stesso giorno arriva in redazione un fax di protesta firmato “i familiari di Giuseppe Cossari”, il giorno dopo il contenuto del fax giunge per posta, ieri l’anonima minaccia di morte.
 

A tal proposito, il Procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignantone dice: “Dal 3 gennaio di quest’anno si registra un forte aumento della tensione in tutto il territorio calabrese. Questi numeri dimostrano che l’esercizio di ciò che è considerato normale nel resto del Paese, la libertà di stampa, in Calabria è percepito come qualcosa di straordinario a causa della pervasiva attività delle cosche. Questa regione poi è succube di uno storico isolamento informativo. Far conoscere le storie dei cronisti minacciati è invece la prima e fondamentale forma di tutela della loro incolumità”