Estero

Breve analisi del voto spagnolo

Roma, 21 novembre 2011 Le elezioni in Spagna rappresentano il primo serio banco di prova per la democrazia in Europa dopo la rivoluzione della politica internazionale dovuta alla gestione del debito pubblico sovrano. A differenza che in Italia, nella penisola iberica la grande crisi economica (in Spagna la disoccupazione della popolazione in età di vita attiva è del 21,5%, con punte sopra il 40% tra i giovani) ha portato a elezioni anticipate. Il confronto elettorale si è giocato con le regole ordinarie applicabili anche in regime di normalità politica. [MORE]Si è riproposto un confronto bipolare tra due alternative di governo, quella a guida del partito socialista (Psoe) e quella cattolico-democratica del partito popolare (Pp).

Lo schema di gioco è stato quello consolidato del proporzionale con voto in piccole circoscrizioni che determina un effetto maggioritario sul piano della rappresentanza parlamentare. Cosicché il Pp che ha raccolto il 44,6% delle preferenze ha conseguito la maggioranza assoluta dei seggi nella camera bassa (186 su 350). Si tratta di un notevole successo politico per il nuovo governo del segretario del Pp Mariano Rajoy che potrà contare su una maggioranza composta solo da parlamentari del proprio partito. Ciò consente di non dover ricorrere, come successo al governo socialista di Zapatero, all’appoggio dei partiti regionali, catalano e basco. Netta la debacle del partito di maggioranza uscente, il Psoe. I socialisti, che hanno indicato come leader il ministro dell’economia uscente Rubacalba, sono andati incontro a una debacle, perdendo rispetto alle elezioni del 2008 15 punti, scivolando al 28,7%, e 59 seggi. Per quanto riguarda le forze locali, va registrato lo storico evento delle prime elezioni nazionali non intralciate dall’azione terroristica dell’Eta che il 20 ottobre ha annunciato di rinunciare alla lotta armata per l’indipendentismo basco. La nuova forza politica basca, Amaiur, complesso di sigle vicine a Batasuna e agli indipendentisti di Aa, è riuscita a incassare l’1,4% e 7 seggi, non così strategici, data la maggioranza assoluta del Pp. Si tratta, comunque, di un notevole successo per il movimento democratico basco. In arretramento i moderati baschi del Pnv che perdono un seggio dei 6 che avevano nel 2008. In ambito catalano, lo scarso appeal del Psoe ha trascinato nel baratro la stella emergente del partito socialista, il ministro della difesa Carme Chacon. Fervente catalana, la Chacon ha dovuto subire lo smacco di essere superata, nella sua regione, dagli autonomisti di CiU che si attestano su un 4,17% che vale 16 seggi, 6 in più del 2008.


Oltre al freddo dato dei numeri, per comprendere il significato del responso elettorale spagnolo si deve fare ricorso ad alcune tendenze politiche generali. Innanzitutto, entrambe le forze politiche concorrenti hanno rinunciato a presentare programmi elettorali troppo ambiziosi, limitandosi a impegnarsi a lottare duramente contro il vero male del paese: la mancanza di impiego per 5 milioni di cittadini. Certi ambienti politici di casa nostra hanno visto dietro questa rinuncia programmatica il segno di un cambiamento del bipolarismo spagnolo verso un approdo di multipartitismo a trazione centrale, secondo un modello di governo in cui il programma si discute ad urne chiuse. L’assetto maggioritario uscito dalle urne anche in questa tornata elettorale sembra non confermare questo assunto. Si è poi notato che i due candidati, Rubacalba e Rajoy, entrambi sopra i 50 anni, sono leader privi di un grande carisma, a differenza dei loro predecessori, Aznar e Zapatero. Questa circostanza può essere spiegata con la gravità del momento storico che impone doti di ponderazione e freddezza, piuttosto che di aggressività e spigliatezza. Ma anche questo dato non va letto come sintomatico della crisi istituzionale spagnola. Lo schema bipolare sembra avere retto bene e lo stesso tasso di astensione del 28% non è radicalmente diverso da quello delle precedenti tornate elettorali.


Il sistema di comunicazione urne-partiti sembra reggere bene, se è vero come è vero che lo stesso Ps, uscito nettamente sconfitto dalle elezioni, si appresta- come dichiarato da Zapatero, segretario uscente- a celebrare il suo congresso, per una nuova fase della sinistra spagnola, un’area politica in cui, tra l’altro, si è innescata una competizione tra il Ps e Izquierda Unida che è passata da 2 a 11 seggi, con il 7% dei voti. Dalle urne si passerà ben presto al conteggio delle grandezze economiche. E allora le ricette del governo Rajoy potranno essere anche molto dure, in linea con le richieste che giungono dalle istituzioni europee. E' certo, però, che porteranno il sigillo di una democrazia orgogliosa ed efficiente, forte della legittimazione popolare.
 

Emiliano Colacchi.

 

Nella foto, Palazzo della Moncloa a Madrid,

sede del governo spagnolo