Cronaca
Born to die. La lotta degli animalisti per la chiusura di Green Hill
BRESCIA, 2 MAGGIO 2012 - Born to die. Un modo di dire famoso negli States, titolo del secondo album della cantautrice statunitense Lana Del Rey e di una delle campagne pubblicitarie per una serie televisiva con protagonista Nina Dobrev, ma anche slogan di molte associazioni animaliste che si impegnano nella lotta per l’abolizione della vivisezione e delle sperimentazioni sugli animali.
La traduzione letterale nella lingua italiana corrisponde alla frase “Nati per morire” e descrive perfettamente la condizione di migliaia di animali allevati con il solo scopo di essere venduti ai laboratori universitari o alle case produttrici di farmaci e cosmetici, delle vere e proprie cavie da laboratorio di cui l’Italia è, purtroppo, una delle maggiori fornitrici in Europa, a causa della presenza a Montichiari, nel Bresciano, di “Green Hill”, un’azienda che alleva cani di razza Beagle per i laboratori di vivisezione, balzata negli ultimi giorni agli onori della cronaca a causa dell’incursione di un gruppo di animalisti nelle aree adibite all’allevamento, nel corso di una manifestazione di protesta.[MORE]
Partita come una semplice marcia pacifica il 28 Aprile, in occasione della giornata mondiale per gli animali nei laboratori, la manifestazione ha iniziato a dare segni di degenerazione quando un gruppo di attivisti, all’incirca una dozzina, è riuscito ad introdursi all’interno dell’allevamento e a liberare, in pochi minuti, venticinque degli oltre 2500 cani rinchiusi nella struttura.
L’incursione, che ha portato al fermo di dodici persone, costituisce solo la punta dell’iceberg di un fenomeno di ben più ampia portata, che impazza ormai sul web da un tempo indefinito e vede la partecipazione di vari gruppi per la salvaguardia e la protezione degli animali e anche dell’ex ministro per il Turismo Michela Vittoria Brambilla, sempre pronta a ricordare all’opinione pubblica l’esistenza dell’articolo 14 della legge comunitaria 2011, che vieta l’allevamento, sul territorio italiano, di cani, gatti e primati destinati alla sperimentazione.
Green Hill, definito dagli animalisti un “Canile-Lager”, ha ormai un numero infinito di contestatori: numerosi i gruppi e le pagine su Facebook creati per salvare i cani detenuti all’interno dell’allevamento, alcuni arrivati a più di 14'500 iscritti, e numerose anche le petizioni, online e non, destinate allo stesso scopo, per non parlare della disapprovazione degli stessi abitanti di Montichiari che, con la creazione del “Comitato Montichiari contro Green Hill”, esprimono tutto il loro dissenso nei confronti dell’attività portata avanti dallo stabilimento.
Potentissima e trascinante è stata la reazione della rete a seguito dell’incursione: mentre #liberategliattivisti è diventato in brevissimo tempo un trend su Twitter, le foto dei cuccioli liberati rimbalzano su tutti i social network e sono ormai diventate la bandiera di tutti coloro che premono per la liberazione dei cani ancora rinchiusi all’interno della struttura e anche la miglior risposta alle affermazioni di chi, chiamando a difesa delle proprie opinioni l’importanza del progresso scientifico, definisce la sperimentazione sugli animali e la vivisezione assolutamente necessarie per lo sviluppo della ricerca medica, bollando le alternative (metodi di sperimentazione in vitro e impiego della bioinformatica) come dei semplici complementari all’impiego animale.
Eppure, le migliaia di persone che si stanno mobilitando in Italia e anche nel resto d’Europa per la chiusura dello stabilimento di Montichiari e le migliaia che, in tutto il mondo, si mobilitano ogni giorno per far sì che strutture come quella nel Bresciano smettano di esistere, stanno cercando di far comprendere anche ai più scettici che, proprio grazie alle conquiste di quella ricerca medica che essi si preoccupano tanto di preservare, un’alternativa è ormai possibile e, soprattutto, necessaria, perché nessuna creatura vivente, umana o animale che sia, è nata solo per morire.
Elisa Lepone