Cronaca
Bologna: boom delle imprese cinesi, una risposta alla crisi?
BOLOGNA, 23 SETTEMBRE – Via San Felice, Via Riva Reno, Piazza VII Agosto, Via Capo di Lucca, Via Vittorio Veneto, via Tibaldi, quartiere della Bolognina.
Non è il censimento delle strade di Bologna. E' il censimento di alcuni luoghi dove il commercio cinese è ormai un gestore incontrastato ma non per questo non può divenire una risorsa per tutta Bologna.[MORE]
Sono più di 700 le attività gestite da commercianti di nazionalità cinese che stanno prendendo piede nel capoluogo emiliano e che sono state censite quest'anno: e non si tratta più del classico bazar dove trovare gli oggetti più “strampalati” e assurdi.
Il commercio bolognese ha gli occhi a mandorla. Dal parrucchiere al bar, fino all'ultima grande apertura in via Riva Reno: un vero e proprio centro commerciale su due piani, un ibrido tra un bazar e un supermarket che vende, a prezzi decisamente ridotti, anche i prodotti dei più rinomati brand nazionali e non. All'angolo tra via San Felice e via Riva di Reno si estende, su una superficie di circa duemila metri, il ventunesimo Aumai Market d'Italia, colossale rivale dei negozi e negozietti che si estendono in questa zona.
“È il nostro primo punto vendita nel centro Italia, un esperimento. E non escludiamo di assumere italiani per Natale”, spiegano i responsabili della catena, nata nel 2004 a Brescia per volontà del manager Chen Wenxu, diffusa tra Lombardia e Veneto e famosa per le sue aggressive campagne sui prezzi.
Un fenomeno, quello del commercio cinese, che è sempre più in forte crescita. Nel 2005 erano 485 gli esercizi commerciali gestiti da commercianti di nazionalità cinese, per aumentare, a fine 2010, nel 666 fino ad arrivare alle 700 attività censite nei primi sei mesi del 2011: un negozio ogni 4-5 giorni. Una crescita esponenziale che da un lato preoccupa i negozianti autoctoni per via della forte concorrenza nei prezzi: "Sono entrati con maggiore determinazione anche nel centro città, specie negli ultimi mesi, una presenza sempre più diffusa che registriamo e che facciamo fatica a misurare”, conferma Giancarlo Tonelli di Ascom e prosegue: “Ma questo non deve far pensare a imprenditori improvvisati, perché si tratta sempre di persone che possono contare su capitali”.
E, infatti, la comunità cinese è solo seconda, nel panorama bolognese, dopo la comunità marocchina ma con il 15% in più di titolari di esercizi commerciali e in crescita del 6% rispetto a una crescita media dell'imprenditoria straniera del 3%.
“È un fenomeno naturale. Molti di noi hanno lavorato per italiani imparando il mestiere e decidono di aprire un'attività in proprio, specie adesso che la crisi fa chiudere i negozi. I cinesi subentrano perché hanno bisogno di lavorare e di mantenere la famiglia, come tutti”. Così rassicura Andrea Liu, presidente dell'associazione cinese di Bologna che vive in città da oltre trent'anni e gestisce un ristorante in via Salvini.
Lo sguardo diffidente non è giusto, ma, sopratutto, non è adatto per guardare al fenomeno come una risposta positiva a una crisi che sempre più sta schiacciando il nostro paese e che sempre più mette le mani in tasca ai consumatori finali. Consumatore finale che riprende in mano, scegliendo un negozio piuttosto che un altro, il suo ruolo attivo nella catena commerciale. Perché la scelta la fa il prezzo e la convenienza del prodotto.
Federica Palmisano - Redazione Emilia Romagna