Editoriale

Berlusconi-Santoro. Un errore aspettarsi il duello

ROMA, 11 GENNAIO 2013 - Lo si attendeva almeno da undici anni un confronto televisivo tra Silvio Berlusconi e uno dei giornalisti a lui più sgraditi, Michele Santoro. Se c'è una data alla quale può essere fatto risalire l'avvio di questa decennale attesa, non è tanto il 1994, anno d'inizio dell'esperienza politica dell'imprenditore Silvio Berlusconi, quanto il 18 aprile 2002. In quella data, l'allora presidente del Consiglio pronunciò il tristemente celebre “editto bulgaro” con il quale chiese e ottenne la cacciata dalla televisione pubblica del giornalista Enzo Biagi, del comico Daniele Luttazzi e dello stesso Michele Santoro.

A mio avviso è quello il momento in cui si è generata, almeno tra chi in questi anni ha seguito le vicende politiche italiane e soprattutto la loro trasposizione televisiva, l'attesa di un confronto diretto tra i due. Era dunque inevitabile che, nel momento in cui questo tanto atteso confronto si è concretizzato, molti telespettatori abbiano quasi sperato in uno scontro all'ultimo sangue, in una sorta di resa dei conti tra due personaggi antitetici. Queste grandi attese, e il desiderio ai limiti della perversione di chi, da una parte o dall'altra, avrebbe voluto la sconfitta totale di Berlusconi o di Santoro, sono state deluse.

Beninteso, lo scontro c'è stato, sia in toni goliardici (decisamente evitabili), sia più accesi. Era inevitabile che ci fosse, d'altra parte. Com'era inevitabile che al termine di ciò che era stato interpretato come un duello ben prima del suo inizio, ci si chiedesse da un lato quanti punti abbia guadagnato o perso Silvio Berlusconi e, dall'altro, come avrebbe dovuto comportarsi Santoro per far guadagnare o perdere punti a Silvio Berlusconi. Commenti legittimi, ovviamente. Adottando unicamente questo punto di vista, cioè considerando come strumento di valutazione del programma la vittoria dell'uno o dell'altro – in termini elettorali e di consenso – si finisce, però, per perdere di vista un aspetto fondamentale. Il confronto non era tra due uomini politici entrambi interessati a guadagnare consensi elettorali.[MORE]

Il confronto, val la pena sottolinearlo, era tra un uomo politico – sui generis quanto si vuole – e un giornalista, anzi più giornalisti. I due piani non sono sovrapponibili, ma antitetici, e lo sono anche i relativi scopi e metodi. Il politico, e Berlusconi non fa certo eccezione, cerca consensi elettorali e racconta il proprio punto di vista adottando tutti gli strumenti che ritiene utili per quello scopo, propaganda e bugie comprese. Il giornalista racconta ciò che osserva, analizza, fa domande al politico che gli è davanti e cerca – riuscendoci oppure no – di smascherare le eventuali bugie dell'uomo politico. Se non si comprende questa differenza tra i due ruoli, diventa fin troppo semplice ridurre un'intervista ad una “resa dei conti” e, di conseguenza, ricercare un vincitore e uno sconfitto.

Purtroppo per chi dal confronto di ieri sera si aspettava questa resa dei conti, Michele Santoro non ha dimenticato questa differenza di fondo. E non solo lui. Tutti gli altri giornalisti presenti in studio – Giulia Innocenzi, Luisella Costamagna, Marco Travaglio e Gianni Dragoni – hanno raccontato dei fatti, evidenziando le incongruenze, i cambi di rotta, le bugie, le promesse non mantenute, e hanno chiesto conto al politico intervistato dei suoi comportamenti politici.

Prendiamo come esempio il tema maggiormente presente nella campagna elettorale che Berlusconi sta conducendo in queste settimane: l'Imu, la tassa probabilmente più odiata dagli italiani. Berlusconi è un attento conoscitore delle strategie di comunicazione e sa benissimo che per conquistare gli elettori l'attenzione deve essere rivolta agli argomenti sui quali è più facile ottenere il consenso. Nulla di male dal suo punto di vista. È propaganda elettorale, legittima per un uomo politico. Dal punto di vista giornalistico, invece, il ruolo di chi si trova dall'altro lato – cioè a far domande all'uomo politico – è quello di smascherare la propaganda. Non per fargli perdere (o guadagnare) consensi, ma per permettere ai cittadini (in questo caso anche telespettatori) di avere la visione completa di ogni questione e poter poi scegliere più consapevolmente se votare o meno quell'uomo politico.

Molte delle analisi dei giornalisti in studio e delle domande da loro rivolte a Berlusconi si sono concentrate proprio sull'Imu – argomento della campagna elettorale berlusconiana - evidenziando non solo il fatto che il PdL ha votato in Parlamento a favore di quelle norme contro cui oggi tuona, ma anche lo stesso comportamento schizofrenico di Berlusconi, il quale fino a pochi mesi fa elogiava l'operato del governo Monti anche rispetto a queste norme. In sostanza, i giornalisti in studio hanno smascherato la propaganda elettorale. Hanno fatto il loro mestiere, nulla di più nulla di meno. Lo stesso vale per altre tematiche affrontate nel corso della trasmissione. Marco Travaglio, ad esempio, nel suo editoriale ha “smontato” i presunti complotti contro Berlusconi; ha fatto un lungo elenco di personaggi discutibili dei quali Berlusconi si è politicamente circondato in questi anni; gli ha rinfacciato tutto quello che avrebbe potuto fare durante gli anni di governo e che – a suo parere, e non solo – non ha fatto.

Berlusconi si è legittimamente difeso da quanto chiesto e sottolineato dai vari giornalisti, esponendo la sua versione dei fatti su ogni questione e, comportandosi come ci si sarebbe aspettato da lui, non ha nemmeno risparmiato attacchi e offese ai giornalisti in studio, e persino qualche gag da avanspettacolo. Chiunque abbia guardato il programma può trarre le proprie riflessioni e può giudicare se Berlusconi sia stato credibile o meno in ciò che sosteneva e persino se si sia o meno reso ridicolo.

Chi ha vinto, dunque? La domanda, per citare Corrado Guzzanti nei panni di Quelo, è mal posta. Se le osservazioni di Santoro e dei suoi collaboratori hanno fatto guadagnare o meno consensi a Berlusconi non è certamente un loro problema. Non è loro compito far guadagnare o perdere consensi ad un uomo politico.

La delusione di molti telespettatori è comprensibile, specie per chi si aspettava che Santoro e i suoi collaboratori attaccassero Berlusconi fino a farlo soccombere politicamente (in che modo avrebbero dovuto farlo, tra l'altro, non è dato sapere). La delusione è comprensibile e spiegabile proprio in ragione della decennale attesa che ha caricato di suspense il confronto televisivo, atteso quasi come il duello finale tra i due “arcinemici”. L'attesa, però – val la pena ribadire anche questo – non è stata certo alimentata per volere di Michele Santoro e della sua squadra, i quali, possiamo esserne certi, sarebbero stati ben lieti di intervistare Berlusconi più e più volte in questi anni. Se l'attesa è stata così carica di tensione, il motivo è molto semplice, quasi banale: Berlusconi non ha mai voluto farsi intervistare da Santoro e ha sempre evitato accuratamente i suoi programmi, preferendo farsi intervistare da altri giornalisti a lui più graditi e non lesinando attacchi contro i giornalisti meno graditi, tra i quali lo stesso Santoro.

La lezione emersa dalla trasmissione di ieri sera potrebbe, però, essere un'altra.

La crescente personificazione della politica degli ultimi anni, incentrata non tanto sul confronto-scontro tra idee diverse, bensì sul carisma – reale o semplicemente mediatico – dei singoli leader politici, di cui Berlusconi è sicuramente l'esempio più lampante, ha condizionato anche lo stesso dibattito politico, creando le basi sulle quali la personificazione dello scontro potesse poi sfociare nell'attesa della vittoria o della sconfitta dell'uno o dell'altro contendente. Una personificazione riversatasi anche in un terreno, quello giornalistico, dove la vittoria o la sconfitta dell'uno o dell'altro non dovrebbe avere ragione di esistere.

Indipendentemente dalla presunta vittoria dell'uno o dell'altro, ieri sera abbiamo assistito a ciò a cui avremmo voluto assistere molte altre volte: un uomo politico di spicco intervistato da uno dei più bravi e preparati giornalisti in circolazione. Abbiamo avuto anche la prova che intervistare Berlusconi senza essere a lui compiacenti, e persino essendo a lui decisamente sgraditi, al punto da essere stati letteralmente cacciati dal proprio posto di lavoro per diversi anni, è possibile e lo si può fare senza avere come scopo la sua sconfitta, senza cadere nella trappola del presunto guadagno di voti che un'intervista può o meno portare.

Il compito di sconfiggerlo politicamente non è certo dei giornalisti, nemmeno di quelli che Berlusconi considera sue nemesi, ma di coloro che si candidano al governo del paese presentandosi come alternativa allo stesso Berlusconi. Sperando che lo abbiano capito.

Serena Casu

(foto Agi)