Politica
Berlusconi: «I miei figli come ebrei sotto Hitler». Ucei: «Paragone inappropriato ed offensivo»
ROMA, 6 NOVEMBRE 2013 - Berlusconi-Vespa atto III. Anche quest’oggi dal nuovo libro del giornalista, “Sale, zucchero e caffè. L’Italia che ho vissuto da nonna Aida alla Terza Repubblica”, vengono estratte e consegnate agli onori della cronaca ulteriori dichiarazioni del Cavaliere.[MORE]
Di questo passo finirà che anche i più curiosi lettori non avranno bisogno di acquistare il libro, ma tant’è: l’appuntamento quotidiano con la pillola berlusconiana si rinnova. Peccato che delle odierne parole dell’ex premier se ne sarebbe voluto fare anche a meno: «I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso». Questa la risposta di Berlusconi alla domanda di Vespa relativa alla presunta volontà dei figli di voler vendere ogni proprietà e lasciare il Belpaese.
Paragone inopportuno che ha naturalmente suscitato la replica del presidente dell’Ucei (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), Renzo Gattegna, che si è innanzitutto sentito in dovere di ricordare qualche breve quanto sostanziale differenza storica: «L’Italia repubblicana è un paese democratico. La Germania nazista era una spietata dittatura governata da criminali che teorizzavano e commettevano i più gravi delitti contro l’umanità. Contro gli ebrei – continua a spiegare Gattegna – si accanirono con spietata crudeltà tanto che, alla fine di quel tragico periodo, gli ebrei dovettero contare oltre sei milioni di morti».
E considerato che, come recita Nanni Moretti, «le parole sono importanti» al fine di un uso più responsabile del vocabolario il presidente dell’Ucei prosegue dicendo: «La vita degli ebrei d’Europa sotto il nazismo fu segnata da un vortice nero di violenza, persecuzione, morte. Una catastrofe che non è soltanto del popolo ebraico ma dell’umanità intera. Ogni paragone – afferma Gattegna – con le vicende della famiglia Berlusconi è quindi non soltanto inappropriato e incomprensibile ma anche offensivo della memoria di chi fu privato di ogni diritto e, dopo atroci e indicibili sofferenze, della vita stessa».
Secca la risposta proveniente dal responsabile Giustizia del Pd, Danilo Leva: «Berlusconi ha perso completamente il senso della misura. Da 20 anni ci racconta la favola della persecuzione e oggi, anziché chiedere scusa agli italiani per la condanna per frode fiscale, si avventura in un paragone agghiacciatne con una tragedia quale l’olocausto. Essere uguali – continua Leva – di fronte alla legge, rispettare lo stato di diritto sono paragonabili alla persecuzione degli ebrei?».
Tuttavia, ritornando a stretto merito sui contenuti dell’intervista, Berlusconi da vero patriota rassicura tutti, in primis Vespa, sulla irreale ipotesi di trasferirsi all’estero: «Sono italiano al 100%. In Italia ho le mie radici. In Italia sono diventato quello che sono. Ho fatto qui l’imprenditore, l’uomo di sport, il leader politico. Questo è il mio paese, il paese che amo, il paese in cui ho tutto: la mia famiglia, i miei amici, le aziende, la mia casa, e dove ho avuto successo come studente, come imprenditore, come uomo di sport, come uomo di Stato. Non prendo neppure in considerazione – conclude il Cavaliere – la possibilità di lasciare l’Italia».
La successiva domanda del giornalista verte poi sullo stato d’animo con il quale lo stesso Berlusconi ha vissuto la sentenza di condanna definitiva della Cassazione per frode fiscale: «è vero – si legge nel libro – che la sua tentazione sarebbe stata di farsi rinchiudere agli arresti domiciliari pur di non chiedere niente a nessuno e sottolineare quanto sia ingiusta la sua condanna?». «Il primo sentimento – risponde l’ex premier – è stato di non volerci credere, che fosse impossibile che capitasse a me tutto questo, e da lì il rifiuto di prendere in considerazione qualsiasi ipotesi, perché tutte sarebbero comunque ingiuste. Sono stato assalito - continua - da una profonda indignazione, che da allora non mi ha lasciato mai. Ho molto pensato a quanto soffrirebbero mio padre e mia madre se fossero qui. E mi sono chiesto come avrebbero voluto che mi comportassi. Credo - conclude - con la stessa dignità che mi hanno sempre insegnato».
(Immagine da tempi.it)
Giovanni Maria Elia