Estero

Base España, l'anticamera di Abu Ghraib

DIWANIYA (IRAQ), 22 MARZO 2013 – «Ignorare l'orrore conduce solo a ripetere l'errore». Concludeva così Miguel González sul quotidiano spagnolo El País qualche giorno fa. L'orrore dura in tutto 46 secondi, come si vede nel video allegato.  

La cella è quella della Base España di Diwaniya, principale installazione militare spagnola durante la prima fase dell'invasione dell'Iraq, alla quale la Spagna – allora governata da José María Aznar del Partido Popular – partecipò dall'agosto 2003, senza l'avallo dell'ONU (come tutta la guerra) e, soprattutto, contro il volere dell'opinione pubblica nazionale.[MORE]

Ai 1.300 militari che formavano la Brigada Plus Ultra venne distribuito il “Procedimiento de detención y actuación con el personal detenido” (nella foto), un manuale che definiva come “durante e dopo la detenzione si applica la violenza minima imprescindibile”, pur nel “rispetto dei diritti del detenuto”, come riporta l'articolo del quotidiano spagnolo.
Quello stesso manuale parlava inoltre di intolleranza verso torture o altri trattamenti “crudeli, inumani e degradanti”, delle quali però né il generale Fulgencio Coll Bucher – comandante della Brigada e in seguito Capo di Stato Maggiore dell'Esercito di terra – né i due ministri della Difesa succedutisi all'epoca – Federico Trillo del PP e José Bono del  Partido Socialista Obrero Español – hanno mai avuto notizi. Il manuale, inoltre, non includeva alcun controllo super-partes, lasciando la decisione di dove porre il confine tra tortura e rispetto dei diritti del detenuto (e per estensione dei diritti umani tout court) al “buon giudizio” ed al “sentimento comune” dell'ufficiale al comando.

Stando a quanto raccontano testimoni consultati da El País, le cinque celle di cui si componeva il centro di detenzione – dove venivano inviati i detenuti per crimini contro la coalizione – ospitavano spesso più di del numero massimo di detenuti. I turni di guardia erano inoltre a rotazione, così che potevano capitare situazioni nelle quali un militare si trovava a controllare al suo potenziale attentatore del giorno prima, con tutto ciò che questo significa.
Undici morti in dieci mesi – quanto il contingente spagnolo subì tra agosto 2003 e maggio 2004 – danno il quadro della tensione che si registrava tra i militari, che subirono 40 attacchi in 50 giorni a partire dal 4 aprile 2004, data in cui viene attaccata la base Al Andalus a Najaf, una delle zone in cui operavano i militari spagnoli.
Il giorno prima era stato arrestato Mustafa al Yaqubi, luogotenente di Moqtada al-Sadr, l'imam sciita principale nemico delle forze della coalizione. Questa vicenda provocò non solo la crisi più importante tra Spagna e Stati Uniti – in quanto i primi non vennero avvisati dell'operazione - ma anche la ribellione di centinaia di sostenitori di Al Sadr che arrivarono fino ai cancelli della prigione per chiedere il rilascio del prigioniero.

Ad oggi, l'unica denuncia nota contro il contingente spagnolo è quella di Flayeh Al Mayali, accusato di aver preso parte, il 29 novembre 2003, all'imboscata contro sette agenti del Centro Nacional de Inteligencia lungo la strada che da Diwaniyah porta a Baghdad. Al Mayali viene arrestato il 22 marzo, e portato a Baghdad il 27. Secondo gli accordi presi tra esercito spagnolo e statunitense, infatti, la base spagnola era solo l'anticamera per l'invio dei detenuti per crimini contro la coalizione ad Abu Ghraib, dal quale Al Mayali esce nel febbraio 2005 senza essere mai stato giudicato. Stando alla sua ricostruzione, durante l'interrogatorio da parte degli spagnoli venne incappucciato, picchiato e gli vennero legate le mani dietro la schiena. Così come fu insultato e colpito con i fucili durante il trasferimento a Baghdad. Il ministero dell'Interno spagnolo ha vietato ad Al Mayali l'ingresso nel paese, nonostante l'imboscata ai sette agenti sia stata archiviata senza che la magistratura sia riuscita ad identificarne l'autore.
Ad Abu Ghraib è inoltre legata anche un'altra delle vicende che coinvolgono il contingente spagnolo in Iraq, cioè l'omicidio del comandante della Guardia Civil Gonzalo Pérez, al quale fu sparato un colpo di pistola alla testa durante una retata ad Hamsa, a 40 chilometri dalla base. Pérez morì a Madrid il 3 febbraio 2004, dopo 13 giorni di coma e dopo essere stato un Provost Marshal (responsabile dell'intero processo di cattura, custodia e consegna degli insorgenti, secondo quanto definito dal manuale), dal quale dipendeva la liberazione o il trasferimento ad Abu Ghraib dei detenuti. L'omicidio, dunque, è solo casuale?

Il video ha costretto il ministro della Difesa ad aprire un'inchiesta, pur ribadendo – in linea con i suoi predecessori – che qualora confermato l'episodio sarebbe il primo dopo una storia ventennale di missioni militari spagnole, con oltre 120.000 soldati mandati all'estero. O forse il primo venuto alla luce.

Intanto, scriveva lunedì Silvia Ragusa sul Fatto Quotidiano Diego López Garrido, portavoce della Difesa per il partito socialista, ha evidenziato come dovrebbero essere i colpevoli di allora – cioè José María Aznar e Federico Trillo, all'epoca Primo Ministro e ministro della Difesa – che «dovrebbero spiegare perché coinvolsero la Spagna in una guerra illegale, illegittima, senza l'avvallo dell'Onu e dell'opinione pubblica spagnola». Una spiegazione che, a dieci anni dall'invasione, dovrebbe forse essere chiesta all'intera Europa.

(foto: elpais.com)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/]