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Barletta: Operaie in nero e criminalizzazioni
BARLETTA, 5 OTTOBRE 2011 - «Non mi sento di criminalizzare chi in un momento come questo viola la legge, assicurando, però, lavoro a patto che non si speculi sulla vita delle persone». La dichiarazione è di Nicola Maffei (PD), sindaco di Barletta, città nella quale due giorni fa si è verificato il crollo di una palazzina che ha provocato la morte di cinque donne: quattro operaie di una piccola fabbrica tessile presente nel seminterrato dell'edificio e una ragazzina quattordicenne figlia dei titolari della fabbrica.[MORE]
I funerali delle cinque vittime si terranno domani, giornata nella quale il sindaco ha lodevolmente indetto il lutto cittadino, occupandosi dell'allestimento della camera ardente e autorizzando un giorno di chiusura per le attività commerciali.
Sulle cause del crollo sta indagando la procura di Trani con l'apertura di un'inchiesta nella quale si ipotizza il reato di omicidio plurimo colposo, per il momento contro ignoti. Dai primi accertamenti sembrerebbe che il crollo sia dovuto all'abbattimento accidentale, durante alcuni lavori di demolizione, di un architrave di un palazzo adiacente che non avrebbe dovuto essere abbattuto. Sull'edificio crollato, nei giorni scorsi, erano stati effettuati dei sopralluoghi per verificarne la stabilità, dai quali era emerso che la palazzina non presentava “pericoli imminenti”. Sulla correttezza o meno di quelle perizie indagherà la magistratura ed è doveroso aspettare gli esiti delle indagini e l'eventuale individuazione delle responsabilità nel crollo. Dalle indagini è emerso, tuttavia, un altro aspetto della questione, al quale si riferiscono le parole del sindaco soprariportate: le quattro operaie morte lavoravano tutte in nero, con una paga di 3.95 euro l'ora.
Il dolore che comprensibilmente ha scosso i parenti delle vittime, la città, le sue istituzioni e l'Italia intera non può esimere dal prestare massima attenzione a quanto viene pubblicamente dichiarato, in modo particolare se a dichiararlo è il massimo rappresentante delle istituzioni locali. Si è tutti consapevoli della drammatica diffusione del lavoro nero nel nostro Paese e delle condizioni di sfruttamento cui sono costretti lavoratori e lavoratrici senza alcun diritto, per i quali spesso il lavoro nero è l'unica alternativa alla disoccupazione. La consapevolezza di questo dramma e della sua ampiezza, tuttavia, non può implicare una sua giustificazione, soprattutto se questa giustificazione proviene da un rappresentante delle istituzioni.
“Assicurare il lavoro” - per usare le parole del sindaco – violando la legge, cioè tenere i lavoratori in nero, non è un'assicurazione del lavoro. È sfruttamento, è illegalità, è un danno non solo all'economia dell'intero Paese, ma soprattutto ai diritti e alla salute delle persone. Potrà sembrare retorico ribadire un concetto tanto semplice quanto ignorato, ma la condizione di illegalità cui i lavoratori – loro sì – sono costretti, è spesso presupposto o concausa delle tragedie, delle centinaia di morti e delle migliaia di feriti (le cifre fornite dall'Inail parlano di 980 morti e 770 mila incidenti sul lavoro nell'anno 2010. Una media di tre morti al giorno).
Alla dichiarazione del sindaco sono seguite, comprensibilmente, le reazioni di altri rappresentanti delle istituzioni. Si segnala, su tutte, la risposta data dal presidente della Regione Nichi Vendola: « Lo sfruttamento di esseri umani in catene produttive che somigliano a una forma moderna di schiavitù è una patologia che va estirpata, un indicatore di regresso e di inciviltà. Morire di lavoro è la più grande vergogna del nostro tempo. Non si può in alcun modo e per nessuna ragione giustificare il lavoro illegale ».
In seguito alle polemiche, nella giornata di oggi il sindaco ha parzialmente rettificato quanto precedentemente dichiarato: «Non volevo biasimare in alcun modo quelle lavoratrici o lavoratori che, in un momento di oggettiva e riconosciuta crisi economica nazionale e internazionale, accettano condizioni di lavoro non tutelate o mancanti di qualsiasi diritto pur di poter offrire alle proprie famiglie il giusto sostentamento. Affermare questo è evidentemente ben diverso dal giustificare il fenomeno del lavoro nero per il quale auspico che le autorità preposte facciano accertamenti dai quali scaturiscano, quando necessario, i provvedimenti sanzionatori per le inadempienze».
(In foto: tre delle quattro operaie morte con il crollo della palazzina: Antonella Zaza, Giovanna Sardaro e Matilde Doronzo)
Serena Casu