Politica
Autonomie regionali: strappo Lega-M5S in CdM
ROMA, 11 LUGLIO – “Un passo avanti e due indietro”. Sarebbe questo il commento espresso a caldo dagli esponenti del Carroccio che hanno partecipato al vertice dell’esecutivo a Palazzo Chigi per discutere di autonomie regionali, a margine del quale essi hanno manifestato insofferenza per i magri esiti delle ultime trattative politiche: “Inutile sedersi ad un tavolo che non funziona, con persone che cambiano idea il giorno dopo aver stretto accordi e fanno l’opposto di ciò per cui si sono impegnate”.
La reazione leghista testimonia l’ennesima fumata nera per il progetto autonomista promosso da Veneto e Lombardia, nonostante le intenzioni manifestate una settimana fa da entrambe le parti della maggioranza, apparse ormai d’accordo a trasferire nuove funzioni amministrative alle Regioni del nord. Il principio di accordo raggiunto, però, è stato presto cancellato con un colpo di spugna dalla componente stellata del nuovo vertice a Palazzo Chigi, al quale hanno partecipato il premier Giuseppe Conte, il vice Matteo Salvini, il ministro per gli affari regionali Erika Stefani ed una nutrita pattuglia di sottosegretari del Movimento, tra cui Laura Castelli e Stefano Buffagni.
“Oggi la Lega ha chiesto di inserire delle gabbie salariali differenziate a livello regionale, il che significherebbe alzare gli stipendi al nord ed abbassarli nel resto del Paese; per noi è totalmente inaccettabile” – hanno tuonato gli esponenti pentastellati all’uscita della sede dell’esecutivo, facendo valere ragioni opposte a quelle leghiste. Non sarebbe però questo l’unico motivo di frizione tra i due partiti, divisi anche sulla distribuzione del gettito fiscale che residuerebbe una volta trasferite eventualmente le nuove funzioni alle Regioni. L’accordo raggiunto la scorsa settimana prevedeva che le risorse dovessero confluire in un fondo comune, ma il M5S ha voluto che quest’ultimo avesse carattere perequativo, in modo da compensare le Regioni meridionali che hanno meno risorse a disposizione, finanziandone i servizi pubblici; dunque, l’ipotesi non è andata giù ai promotori lombardo-veneti, i quali, tramite la Lega, hanno invece chiesto che tali dividendi possano quantomeno rimanere nella disponibilità dello Stato. Nessun passo avanti, inoltre, è stato fatto sul tema delle infrastrutture, dato che le regioni settentrionali continuano a chiedere con insistenza la titolarità delle concessioni autostradali e la proprietà delle reti ferroviarie, oltre alla destatalizzazione del “fus” (fondo unico per lo spettacolo), senza essere ancora riuscite ad ottenere l’appoggio del Movimento.
Altro motivo di disaccordo – sul quale ci sarebbero però maggiori margini di trattativa – riguarda i “lep”, ovvero i livelli minimi ed essenziali delle prestazioni sociali, che lo Stato dovrebbe garantire a tutti i cittadini a prescindere dalla Regione di residenza. I nodi più articolati riguardano economia e scuola: in particolare, è in ballo una diatriba fra l’assunzione diretta dei docenti da parte di ciascun istituto e l’organizzazione di concorsi regionali supervisionati a livello statale. Il rischio, per il Movimento 5 Stelle, sarebbe quello di dare adito all’apertura di enormi differenze tra istituti scolastici di regioni diverse, incappando peraltro nella paventata incostituzionalità della norma per contrasto col principio di uguaglianza fra tutti i cittadini ex art. 3; oltretutto, il 24 aprile scorso il Presidente Conte aveva firmato un impegno con i sindacati della scuola assicurando di garantire l’unitarietà dell’istruzione a livello nazionale. Per sciogliere i nodi, sarebbe già stato organizzato un nuovo vertice che potrebbe vedere anche la partecipazione del ministro Tria, nel tentativo di pervenire ad una soluzione condivisa almeno su questo punto.
Francesco Gagliardi
Fonte immagine: rep.repubblica.it