Attacchi di panico: cause, sintomi e trattamento. Ne parliamo con lo psicologo Antonio Calamonici
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ROMA, 3 OTTOBRE 2018 - Immaginiamo una tipica giornata primaverile con i raggi solari che irradiano una verde distesa, sulla quale stanno crescendo profumati e colorati fiori di campo. All’improvviso, senza che ci sia una evidente spiegazione razionale, un forte rumore domina l’intera area, il buio avvolge e ingloba tutto. Si passa dal giorno alla notte in un lasso temporale molto breve attraverso una repentina trasformazione. Da un momento all’altro, sembra stia per concretizzarsi una catastrofe che porterà alla totale distruzione, intrisa da una insopportabile e intensa sensazione di terrore. Potrebbe essere questa una delle tante metafore che ci permettono di descrivere un attacco di panico.
Per spiegare il fenomeno dal punto di vista scientifico, capire la sintomatologia, le possibili cause che lo determinano e scoprire le forme di trattamento più efficaci, ci siamo rivolti allo psicologo clinico Antonio Calamonici.
Dottor Calamonici, cosa si intende per attacco di panico e come si manifesta?
“Per attacco di panico si intende la comparsa improvvisa di un’intensa paura o disagio, a partire da uno stato di quiete o ansioso. Mi preme sottolineare che, essendo questo di interesse prettamente psichiatrico/psicologico, al fine di darne una precisa definizione, viene utilizzato un manuale, redatto appositamente per classificare, attraverso precisi criteri, i disturbi mentali. Io, accanto alla diagnosi prettamente psicologica, utilizzo in particolare il DSM di quinta edizione. Etimologicamente parlando, il termine panico deriva dal greco πανικός, che deriva dal nome di Pan, ovvero il Dio delle montagne e della vita agreste, il quale potendo comparire in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento generava nei pastori, cacciatori o pescatori, il cosiddetto timor panico, una forte paura misteriosa ed indefinibile, tanto da generare in loro comportamenti di fuga alla ricerca di luoghi maggiormente sicuri e protettivi”.
Qual è, solitamente, la durata di un attacco?
“La durata di un attacco di panico è di pochi minuti, tempo in cui si manifestano almeno quattro tra tredici sintomi fisici-neurovegetativi, sensoriali, di coloritura emotiva e di interpretazione cognitiva”.
Le persone che raccontano di aver avuto un attacco di panico, nel mentre, hanno avvertito la paura di impazzire e morire. Questo tipo di pensieri è sempre presente?
“Le paure di impazzire e/o morire fanno parte dell’ultima categoria di sintomi suddetta, che comportano una cattiva e catastrofica interpretazione dell’esperienza emotiva associata al contesto quanto al pensiero annesso e connesso. Provare una paura intensa rispetto ad una situazione con una serie di sintomi somatici simili all’infarto e di oscuramento momentaneo della coscienza paragonabili alla follia, chiarisce questi tipi di risultati. Non sono sempre presenti ma frequenti, la differenza è dovuta alla personalità del soggetto e al suo passato, ovvero all’educazione ricevuta, all’ambiente familiare e sociale in cui è vissuto e alle relazioni con le figure di attaccamento primarie, nonché ipotizzando, in quanto ancora non sperimentato ma perché no, di possibile concausa, una predisposizione genetica ereditata o biologica acquisita. Per esempio, una persona che ha di per sé una forte preoccupazione per la sua salute, al momento di un attacco, interpreta la tachicardia come preludio all’infarto e corre al pronto soccorso; una persona invece che non è solita avere tali preoccupazioni, probabilmente non saprà come interpretarli o se istruita in tal senso, penserà proprio al panico. L’informazione può essere quindi molto utile al soggetto per tranquillizzarsi e non pensare al peggio: di panico non si muore!”.
Spiegherebbe ai lettori la differenza tra attacchi ‘non segnalati’ e quelli ‘segnalati’?
“Il primo attacco di panico è imprevisto e imprevedibile, tanto da apportare pensieri e sensazioni catastrofici. Quello che può accadere tendenzialmente, quando si verificano più attacchi, è la consapevolezza di ciò che sta accadendo e quindi la previsione del possibile attacco. In questo vi è uno schema mentale che può diventare, a lungo tempo, altamente invalidante, fino a portare la persona affetta a non lasciare i luoghi considerati comuni o farlo solo se accompagnati da persone o oggetti che si considerano fidate o, per un pensiero magico associato, capaci di prevenire o di far fronte all’urgenza. La paura di un nuovo attacco può innescare quindi una serie di pensieri, di emozioni e di comportamenti, generati al fine di prevenirne di nuovi. Questa preoccupazione, definita ansia anticipatoria, per la troppa attenzione che le si riserva, è essa stessa generatrice e possibile causa di nuovi attacchi. Da manuale, si utilizzano nello specifico i termini: inaspettato e atteso. Il primo è associato ad una causa non chiara e al manifestarsi improvviso e inaspettato a partire da uno stato di quiete o al risveglio dal sonno; il secondo quando la causa è chiara e tipica”.
Esistono altre classificazioni e tipologie di attacchi?
“Gli studi clinici sul fenomeno hanno messo in evidenza l'esistenza di diversi sottotipi di attacchi di panico, in base al profilo sintomatologico degli attacchi stessi e alla prevalenza di alcuni sintomi rispetto ad altri, quali il sottotipo con sintomi cardiaci, con sintomi respiratori, con sintomi gastrointestinali o con sintomi pseudoneurologici.
Cardiaco :gli attacchi di panico possono presentarsi con una vasta gamma di sintomi cardiaci tra cui palpitazioni, senso di costrizione toracica, svolazzamenti e martellamenti al cuore, battito cardiaco accelerato, dolore al torace. A causa dell’acuta e drammatica insorgenza dei sintomi, nonché le loro crescenti simili caratteristiche, questo sottotipo di attacchi di panico può simulare un attacco di cuore.
Respiratorio: in netto contrasto con l'altro sottotipo, non sembra si verifichi una mimica somatica. Ciò può essere dovuto alla natura acuta e di breve durata dei sintomi, che sono prontamente riconosciuti e clinicamente diagnosticati come iperventilazione. Questo sottotipo sembra essere il più descritto ed empiricamente studiato. Per esempio, la letteratura indica che soggetti con questo sottotipo di disturbo di panico sono più sensibili all’anidride carbonica, hanno minore livelli di anidride carbonica di fine espirazione e presentano un profilo epidemiologico caratterizzato da genere femminile, basso livello di istruzione, e comorbidità depressiva e disordine d’abuso di alcool;
Gastrointestinale: durante alcuni attacchi di panico, i sintomi possono concentrarsi al tratto gastrointestinale e comprendono nausea acuta e fugace e dispepsia. Questi tipi di episodi e di sintomi possono essere facilmente fraintesi come colon irritabile;
Vestibolare: I sintomi vestibolari sono comuni tra gli individui con disturbo di panico e possono includere instabilità, vertigini o debolezza. Quando i sintomi sono solo presenti nel sistema vestibolare, il disturbo da panico può essere provocato invece da una malattia vestibolare”.
Esiste una connessione tra attacchi di panico e ansia?
“Sì, in quanto l'emozione del panico, o meglio la reazione emotiva del panico, si manifesta con un attacco improvviso di forte ansia, in periodi distinti di intensa paura o disagio, con almeno quattro sintomi tra quelli caratteristici come tachicardia, iperventilazione o dispnea, agitazione locomotoria, etc, che nel suo manifestarsi ripetutamente e spontaneamente da luogo al disturbo di panico. Nel DSM infatti tale tipo di disturbo è inserito nella categoria maggiore dei disturbi d’ansia. La parola “ansia” deriva dal termine latino “anxius” che significa affannoso, inquieto e la radice di questo termine è quella del verbo latino “angere” che vuol dire stringere, soffocare. È spesso definita come un'emozione spiacevole associata ad un senso generale di pericolo, paura e attivazione fisiologica, la sensazione che qualcosa di brutto stia per accadere. L'ansia, come la paura, sono risposte umane normali a minacce o situazioni di pericolo. L'ansia diventa un disturbo per la persona quando va a intaccare la normale funzione adattiva di sopravvivenza: l'intensità con la quale si manifesta associata al contesto, diventano fattori fondamentali per definire la patologia. I disturbi d'ansia sono i disturbi psichiatrici più diffusi, con un tempo di prevalenza in vita di circa il 20% nella popolazione generale”.
Quali possono essere le possibili cause che originano gli attacchi di panico?
“Il panico è un’emozione naturale presente in ogni essere vivente, è l’allarme massimo che attiva risposte comportamentali di fuga o attacco, necessarie, in situazioni catastrofiche, alla sopravvivenza del soggetto, come terremoti, tsunami, guerra o situazioni in cui la propria vita è minacciata da altri esseri viventi, umani o animali. Per cui le cause possono essere eventi considerati catastrofici, di forte impatto emotivo che necessitano in un’azione repentina e totale. Se l’evento catastrofico non è reale, ma immaginario, o è esacerbata la sua dimensione ovvero è la persona che non riesce a vederne possibilità di soluzione, allora si è in presenza di una cattiva interpretazione cognitiva dei fatti. Altre cause possono essere particolari condizioni mediche (per esempio ipertiroidismo, disturbi cardiopolmonari), uso di sostanze stupefacenti o farmaci”.
Esistono fattori o luoghi che “favoriscono” il verificarsi della crisi di panico?
“Le stime attuali riportano che circa il 7-10% della popolazione ha esperienze occasionali di attacchi di panico e circa il 2-5% della popolazione ha attacchi di panico frequenti e/o invalidanti. Anche se la causa del disturbo di panico e degli attacchi di panico associati è in gran parte sconosciuta, vi sono dei fattori predisponenti che ne aumentano il rischio di sviluppo. L’insorgenza si verifica di solito nella tarda adolescenza o all'inizio dell'età adulta, con un'incidenza pari al doppio nel genere femminile rispetto a quello maschile: in tal senso sembrano giocare un ruolo significativo, la maturazione sessuale in adolescenza e quindi gli ormoni sessuali nelle donne, ma anche altri fattori come lo stress nei primi anni di vita o la maggiore incidenza di traumi come lo stupro. I fattori genetici sembrano svolgere un ruolo significativo in quanto è stato stimato che il 30-40% dei gemelli monozigoti di persone con diagnosi di un disturbo di panico ha esperienza di attacchi di panico ricorrenti.
Per quanto riguarda i luoghi non ve ne sono di specifici, se non quelli possibili legati all’insorgenza del primo attacco di panico o legati ad altre ansie e fobie associate, che permangono nella memoria del soggetto come fattori di ansia anticipatoria in forma di pensiero e attivazione emotiva e di evitamento comportamentale”.
Esiste un nesso con l’agorafobia?
“Esiste, spesso sono presenti entrambi, l’uno in conseguenza dell’altra, ma non necessariamente. L’agorafobia è la paura o ansia marcate relative a situazioni specifiche, in cui si percepisce un’impossibilità di trovare riparo, o via di fuga, o costrizione in cui non si ritrova accudimento nel caso di necessità. Tra i luoghi annoverati in tale disturbo, sono i trasporti pubblici, gli spazi aperti, gli spazi chiusi, le file o le folle, essere fuori casa da soli. Anche qui vi è presente quindi l’ansia e la paura, anche se in questo caso correlate a situazioni specifiche, esagerate rispetto al pericolo reale, che provocano cambiamenti nel comportamento e compromissione del funzionamento della persona nelle aree importanti, quali per esempio quella sociale, lavorativa o intima relazionale. La durata dei sintomi, in questo caso, deve essere superiore ai sei mesi”.
Esiste l’attacco occasionale, unico e irripetibile?
“Sì. La maggior parte delle esperienze di attacco di panico nella popolazione ne vedono un numero unico o comunque ridotto e occasionale, in base alla specifica situazione del soggetto. Nel caso diventino ripetuti, per più di un mese, con persistente preoccupazione per l’insorgenza di altri attacchi e /o cambiamenti nel comportamento connessi ad essi, come per esempio la messa in atto di strategie al fine di evitare luoghi o situazioni di possibile innesco, allora si è in presenza di un possibile disturbo da panico”.
Secondo quali criteri si formula la diagnosi del disturbo di panico?
“Secondo il DSM abbiamo:
ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Nel mentre si manifesta l’attacco, il verificarsi di almeno quattro sintomi tra i successivi:
- palpitazioni, tachicardia o cardiopalmo
- sudorazione
- tremori fino a grandi scosse
- dispnea o sensazione di soffocamento
- sensazione di asfissia
- dolore o fastidio al petto
- nausea o disturbi addominali
- sensazioni di vertigine, instabilità, di “teste leggera” o svenimento
- brividi o vampate di calore
- sensazioni di formicolio o torpore
- derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi)
- paura di perdere il controllo o di impazzire
- paura di morire
Di questi sintomi bisogna scartare quelli specifici per cultura: vi sono comunità e/o società dove il loro comune modo di vivere e leggere l’esistenza può inglobare o generare alcuni sintomi, per cui essendo la norma non possono essere annoverati tra quelli generati in un attacco di panico. Si evidenzia così la necessità che tali sintomi siano non comuni per la persona e presenti sono all’interno dell’attacco di panico.
Inoltre, come accennavo prima, almeno uno di questi attacchi deve essere stato seguito, almeno da un mese, di uno o entrambi i sintomi di preoccupazione persistenza di altri attacchi o per le loro conseguenze e di significativa alterazione del comportamento agli attacchi. Non devono essere presenti altre condizioni mediche correlate o sostanze con possibili effetti fisiologici simili o altri disturbi mentali”.
Quali sono le forme di trattamento più efficaci?
“Sicuramente è consigliato un trattamento integrato tra farmacologico e psicoterapeutico, quindi un intervento di tipo psichiatrico, al fine di contenere le manifestazioni acute ed integrare i neurotrasmettitori necessari a sedare e stabilizzare l’umore e un percorso psicoterapeutico di tipo cognitivo-comportamentale o psicodinamico, al fine di ristrutturare il pensiero annesso all’evento traumatico, migliorarne la consapevolezza e la gestione delle emozioni, attuare una rieducazione comportamentale per restituire alla persona l’autonomia e l’indipendenza venuta meno e/o modificarne le dinamiche risiedenti nella memoria dell’individuo, quindi nel suo passato famigliare e/o sociale, causa del conflitto provocatore del panico”.
Si ringrazia il Dottor Antonio Calamonici
Luigi Cacciatori