Cronaca
Arriva "l'antropologo a domicilio": Paolo Apolito presenta "Ritmi di Festa"
ROMA, 12 MARZO 2015 – "Chi è L'Antropologo a Domicilio?". E' questa la domanda che si pongono le tante persone presenti nella sala, gremita, della Biblioteca Leopardi, di Via Makallè, a Roma. Appena Paolo Apolito, docente di Antropologia Culturale a Roma Tre, inizia il suo appuntamento 'a domicilio', sembra chiaro che il tutto potrebbe avere un tono poco convenzionale: “Mi tolgo la giacca perché fa troppo professore e invece qui devo essere libero di muovermi. Sarò più un attore” - dice, rivolgendosi al pubblico e rimboccandosi le maniche della camicia.
“Mi piace perché, anche a lezione o nei libri di testo, non ha mai uno stile accademico, riesce sempre a farci appassionare” - sussurra uno degli studenti presenti. Segue una performance fatta di parole, gesti e canzoni: "Canto da poco" - confessa -. Apolito parte dalla sua ultima pubblicazione, "Ritmi di festa" (Il Mulino, Bologna, 2014), per ricordare quanto il ritmo sia ciò che tiene unita la società, crea armonia, permettendo di camminare sempre in sincronia.
La prova sta nella storia, in tutti quegli episodi in cui, da situazioni disperate, una voce si è levata e ha trascinato con sé tutte le altre in un’unica armonia. Come per Émile, ebreo francese internato al lager di Mauthausen che riesce a sopportare 25 colpi di frusta sulla schiena grazie al canto dei compagni di baracca che, intorno a lui, intonano la Marsigliese per dargli coraggio; o come Primo Levi che recita Dante mentre è prigioniero ad Auschwitz.
Come spiegare le diverse componenti che entrano in gioco nella creazione dei “ritmi di festa”? Apolito lo fa con una matrioska che smonta davanti al pubblico: “Si apre, ed esce la gioia, l'entusiasmo, che è la manifestazione più evidente del ritmo". In fondo, l'ultimo pezzo non rivela altro che il centro della festa - "La percezione del noi, il piacere degli altri". [MORE]
Molti altri gli esempi che "l'Antropologo a Domicilio" riporta: da Hitler a Tolstoj, da Cristoforo Colombo a Darwin, storie forse poco conosciute che Apolito racconta con originalità nel suo libro.
Lei ha presentato il libro in diverse città. Ha riscontrato delle differenze di pubblico? Si aspettava qualcosa di particolare da questo primo incontro romano nella Biblioteca Leopardi?
"La biblioteca è un luogo dove si raduna gente che legge. Quindi, da questo punto di vista, per me è più facile "sedurre" questo tipo di pubblico perché si parte da una condivisione, mentre in altri ambienti questo è meno scontato. Per un altro verso, però, in una biblioteca c'è un ambiente che potremmo definire come più "sofisticato" e, forse, meno disposto a esperimenti che vadano al di là del libro. Per il resto, però, è un ambiente molto agevole e la mia performance è stata molto piacevole".
Uno dei suoi propositi è quello di “arrivare anche a chi i libri non li legge o li legge poco”. È per questo che ha deciso di aprire una sua pagina Facebook?
"Sì, avevo già un account Facebook che però usavo per ragioni più superficiali. Ho aperto la mia pagina "Antropologo a domicilio" quattro giorni fa e sono già arrivato a 600 "mi piace": una cosa incredibile. E quando vado a vedere di chi si tratta, scopro che spesso parliamo di persone che un libro non l'hanno mai letto. Non so a cosa servano esattamente quei "mi piace", ma so che sto penetrando in ambienti che sono lontanissimi dai miei".
Quindi lei non condanna i social network?
"Io credo che sia un dovere degli intellettuali, in un momento in cui ci si allontana sempre più dai libri, fare il massimo sforzo possibile, anche a traverso i social network. Quindi non li condanno né li critico, ma metto in guarda chi li usa, se usa solo quelli: noi abbiamo un corpo e, stando solo davanti allo schermo, lo perdiamo. Questa è la mia riserva".
Sara Svolacchia