Cultura e Spettacolo

Arriva al cinema "Agorà" ed è polemica

Finalmente arriva anche in Italia l'ultima fatica del apprezzato regista Alejandro Amenábar("Mare Dentro" e "The Others"), "Agorà", film che racconta la storia della filosofa Ipazia di Alessandria, filosofa neoplatonica e martire pagana, vissuta nella città egiziana nel IV sec d.C., nell'epoca in cui il cristianesimo, dopo la conversione dell'imperatore Teodosio, stava diffondendosi in tutte le terre dell'Impero.

Il film è datato 2009, ha partecipato allo scorso Festival di Cannes, ma è stato distribuito nelle sale italiane solo la settimana scorsa, e solo a seguito di insistenti richieste da parte della stampa (e addirittura c'è stata una raccolta di firme tramite una petizione online).[MORE]

Si è detto che il motivo di questo ritardo sia la tacita avversione al film da parte della Chiesa cattolica, visto che Ipazia fu uccisa da un gruppo di estremisti cristiani  sobillati dal Vescovo Cirillo, perchè rifiutò di convertirsi al cristianesimo e difese fino alla morte la libertà del pensiero e della scienza da ogni vincolo imposto da un qualsiasi credo religioso.

Ma procediamo con ordine. Ipazia (interpretata nel film da una splendida Rachel Weisz) filosofa e dedita allo studio della matematica e dell'astronomia (sembra che sia stata lei la prima a ipotizzare, in pieno "regime" del pensiero tolemaico, non solo che la terra non è il centro dell'universo, ma anche che essa ruota intorno al sole secondo un movimento ellittico e non circolare come si sarebbe creduto fino al settecento e alle leggi di Keplero), insegnava nella Biblioteca di Alessandria, la più grande e la più importante di tutto l'Impero.
Negli scontri tra cristiani e pagani prima, e cristiani ed ebrei subito dopo, Ipazia non abbracciò nessun credo poichè affermava: "L'unica cosa in cui credo è la filosofia". La rivoluzione religiosa vide i cristiani porsi inizialmente come dei semplici oppositori, poi come violenti fanatici. Ma in realtà non furono solo i cristiani, il fanatismo prese piede anche tra i pagani e gli ebrei, scatenando una guerra interna che dilaniò la città, soprattutto a causa delle frange più estreme di ciascun gruppo religioso.

La narrazione della vicenda si sviluppa così su tre piani, che però hanno un’unica protagonista, Ipazia: c'è lo scontro tra civiltà, c'è la storia d'amore, c'è la continua ricerca filosofica e la fede “laica” nella scienza.
Tutto i piani convergono drammaticamente nella scena culmine del film, l'incendio della Biblioteca della città e del Serapeum: è la morte della cultura, è l'apice dello scontro tra pagani e cristiani, ed è infine l'inizio della fine per la libertà di pensiero.
Ipazia non demorderà e continuerà a dedicarsi ai suoi studi e all'insegnamento, rifiutando di convertirsi e giungendo presto ad uno scontro con il Vescovo Cirillo, figura non poco inquietante, che cerca in ogni modo di conquistare il potere religioso nella città (sobillando i cristiani contro gli ebrei) e il controllo politico delle masse. Questa fiera opposizione della filosofa porterà la vicenda ad un triste epilogo: verrà trucidata da una frangia di estremisti cristiani istigati dal Vescovo stesso.

Questo film parla della libertà di pensiero, delle atrocità che in suo nome si sono dovute, e si devono, sopportare. Ed è sconvolgente capire quanto questo personaggio sia attuale. Ipazia è stata perseguitata perchè donna, e perchè libera pensatrice che si è opposta al trionfo del becero fanatismo religioso e che non si è asservita ai giochi di potere. "Voi, per vivere, non riuscite a dubitare di ciò in cui credete; io, per vivere, DEVO farlo", dirà poco prima di morire a un suo discepolo convertito al cristianesimo.
Alejandro Amenàbar firma così un'opera di importante impegno civile, schierandosi contro i padri di tutte le chiese e a favore del libero pensiero, dimostrando che non la fede in un dio è nemico di quest'ultimo, bensì il fanatismo religioso e la brama di potere, e mostrandoci quanto gli uomini del IV secolo d.C. siano comunque ( e purtroppo) "uomini del nostro tempo", per citare Quasimodo.
 

Lo stesso regista, alle domande sulle possibile ingerenze del Vaticano per impedire che il film venisse diffuso anche in Italia, ha sottolineato che il suo intento non è stato quello di fare un manifesto anticristiano, bensì una condanna verso la dittatura degli estremismi, presenti nella storia da sempre, dalla notte dei tempi, che hanno impedito la circolazione del libero pensiero tra le genti.