Estero

Arabia Saudita, tensioni e preoccupazioni di un Regno del petrolio

 AOSTA, 5 GENNAIO 2016 – L'esecuzione di 47 persone accusate di terrorismo in Arabia Saudita lo scorso 2 gennaio e il conseguente peggioramento delle relazioni con l'Iran sottolineano le profonde preoccupazioni in quanto alla stabilità del regno da parte della famiglia reale saudita. Le esecuzioni di massa hanno avuto il peso di un monito in base al quale non ci sarà tolleranza alcuna per i dissidenti, specie per coloro che supportano il regime iraniano.

Il regno saudita sta attraversando un periodo particolarmente complicato che si divide tra i proventi del petrolio, l'indefinita guerra in Yemen, le minacce terroriste da diversi fronti e una intensificata rivalità regionale che trova la sua nemesi nell'Iran. Ma il pericolo maggiore appare di natura economica. Il welfare saudita – che fornisce sussidi per la salute e il settore abitativo, benzina a basso costo e istruzione gratuita – ha già subito pesanti tagli a causa di un grosso deficit saltato fuori dai ricavi della vendita del petrolio e le effettive spese di governo. Il deficit dell'anno scorso ammontava a circa 98 miliardi di dollari e le riserve estere erano calate da 728 miliardi di dollari a meno di 640 miliardi di dollari. Con il ritorno dell'Iran sul mercato del petrolio, gli introiti sauditi potrebbero esaurirsi persino più rapidamente di quanto era stato anticipato dal budget per il 2016.

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La maggior parte delle esecuzioni – nello specifico, 43 su 47 – erano affiliati di al-Qaeda arrestati circa dieci anni fa durante la campagna per deporre la monarchia ordinata da Osama bin Laden nel lontano 2003. Prima delle esecuzioni, il ministro degli Interni Saudita, guidato dal principe Mohammed bin Nayef, ha condotto una intensa campagna di relazioni pubbliche per ricordare ai sauditi della brutale battaglia con al-Qaeda avvenuta dieci anni fa. Molto materiale video e documenti vari sono stati desecretati per far meglio comprendere la minaccia.

Al-Qaeda rimane comunque la principale minaccia del paese a tutt'oggi. I suoi affiliati in Yemen, o le cellule nella Penisola Arabica (AQAP), si sono particolarmente rafforzate negli ultimi anni a causa del collasso delle istituzioni in Yemen. L'AQAP controlla gran parte della provincia meridionale di Hadramaut, e sta espandendo la propria presenza intorno alla città di Aden. A un anno dall'attentato – dal gruppo rivendicato – a Charlie Hebdo a Parigi, l'AQAP ha assistito a una crescita esponenziale.

Anche lo Stato Islamico ha preso di mira il regno e il vicino Kuwait nel 2015. Appena lo scorso mese, Abu Bakr al-Baghdadi, l'autoproclamato Califfo dell'ISIS, ha 'chiamato alle armi' per detronizzare il regno saudita, accusandoli di essere segretamente alleati con Israele. Di tutta risposta, lo sceicco Abdul-Aziz Al Sheikh, il Gran Mufti saudita, ha licenziato le parole di Baghdadi come menzognere. L'ecclesiastico 72enne ha dichiarato: “In verità è il Daesh a essere parte delle milizie israeliane”. Lo sceicco è un diretto discendente del fondatore dell'Islam Wahhabi nel XVIII secolo, Muhammad ibn al-Wahhab. La sua famiglia è teologicamente equivalente a quella della famiglia saudita. Abdul-Aziz è stato insignito del titolo di Gran Mufti nel 1999 dal re Fahd, ed esercita una forte autorità. È stato lui ad autorizzare le esecuzioni di massa.

Quattro dei condannati erano sauditi sciiti accusati di incitazione alla violenza nella provincia orientale del regno. L'uccisione del popolare ecclesiastico Nimr al-Nimr ha scatenato proteste in Iran, Iraq, Libano, Bahrein, Pakistan, Yemen e nella stessa provincia orientale. I sauditi non hanno presentato il caso dei dissidenti sciiti così come hanno promosso la campagna contro la minaccia di al-Qaeda.

Nimr, 55 anni, aveva studiato in Iran e in Siria prima di ritornare nel regno saudita nel 1994, diventando uno dei principali oppositori del principe Nayef. Il suo più grave peccato secondo i sauditi è quello di aver sostenuto la secessione della provincia orientale nel tentativo di formare uno stato a maggioranza sciita. La provincia orientale, chiamata anche al-Hasa, è una delle aree più ricche di petrolio, integrata tra i confini dell'Arabia Saudita da prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Uno stato sciita separato potrebbe rappresentare una effettiva minaccia al regno e al suo alleato Bahrein, dove le truppe saudite sono state rafforzate dallo scoppio della Primavera Araba del 2011.

Un saudita sciita che non è stato giustiziato, Ahmed Ibrahim al-Mughassil, è stato rapito la scorsa estate a Beirut. Mughassil era la mente dell'attacco del 1995 al personale delle forze aeree statunitensi a Khobar, nella provincia orientale, che uccise 19 persone e ferito 372 americani. Mughassil è tra i principali esponenti degli Hezbollah, gruppo particolarmente legato all'intelligence iraniana e agli Hezbollah libanesi. È sotto stretto interrogatorio sin dalla sua cattura.

L'Iran ha già minacciato vendetta per l'uccisione di Nimr e i suoi colleghi. L'ambasciata saudita è stata assaltata da una folla di gente lo scorso 2 gennaio. I ribelli Houthi nello Yemen hanno promesso di vendicare i compagni sciiti. Se l'Arabia Saudita sceglie di alzare la posta, Mughassil potrebbe essere portato a 'confessare' sul suo passato prima di essere giustiziato. Il fatto che Mughassil sia stato più volte infiltrato e coinvolto in operazioni di intelligence iraniane e del Golfo è probabilmente l'unico vincolo che ha spinto il principe a non assassinarlo. Per ora.

Foto / Fonte: al-monitor

Dino Buonaiuto