La strada della vita
Antonia Caprella, intervista: LO Stupro (Raccontato dalla vittima dopo molti anni)
“La conseguenza più crudele dello stupro infantile ormai lo sappiamo, è che rende il bambinonemico di se stesso. Quasi sempre la vittima introietta il disprezzo dell’aguzzino e si giudica sporca, mostruosa. Secondo questo perverso meccanismo mentale, la colpa è sempre di chi si fa stuprare. lo stupratore diventa quasi come un destino già scritto, un evento crudele ma inevitabile come un terremoto, un alluvione, e questo finisce per alleviare la sua colpa “ Dacia Maraini.
Ringrazio questa vittima per il suo coraggio e la collaborazione. La sofferenza che prova nel raccontare la sua storia dopo molti anni, ci fa capire che la violenza subita da piccola ha rovinato per sempre il suo equilibrio vitale.
Il racconto:
“Quel giorno, per farci contenti, i miei genitori decisero che saremmo rimasti a dormire nella nostra casa di campagna.
Nel pomeriggio mio fratello Renato e mio cugino decisero di andare a pescare nel fiume del podere accanto al nostro. Io mi misi a piangere, non volevo rimanere da sola, sono stati costretti dalle mie lacrime a portare anche me.
Là c’era una casetta vecchia e mezza diroccata. Eravamo appena arrivati e mio cugino con la scusa che lui era il più grande e doveva badare a me, chiese a mio fratello di andare avanti e incominciare a pescare le ranocchie.
Renato scappò via felice, lui mi prese per mano e mi portò vicino alla casetta. Io lo seguivo, pensavo che avremmo raggiunto mio fratello. Voleva farmi entrare mentre mi raccontava che dentro cerano le fate con tanti regali per me, la porta era bloccata non si apriva, lui la prese a calci, fu allora che mi misi paura e incomincia a piangere. Sentivo la sua mano sudata che stringeva forte la mia e mi strattonava per farmi stare ferma. Cominciai ad urlare con quanto fiato potevo concentrare nel nome di Renato.
Per sfortuna ricordo ancora ogni sensazione: sento ancora addosso le mani viscide e il respiro affannoso di mio cugino. Sento, come in un triste ritornello, la mia voce che grida terrorizzata mentre lui, seduto su un masso d'avanti alla casetta, mi tiene ferma stringendomi contro il suo maledetto pene.
Indossavo un vestitino bianco con fiori gialli, questi si macchiò di rosso con il sangue che mi colava dal naso dopo aver ricevuto uno schiaffo, mentre gridavo guardavo atterrita un serpente che strisciava poco lontano da noi: era nero.
Da quel giorno, appena vedo un serpente mi metto a tremare e il pensiero torna a quella giornata da incubo.
Mi tirò su la gonnellina e mi strappò le mutandine; con una mano mi sorreggeva e con l'altra mi toccava cercando di tapparmi la bocca.
Mi faceva male, mi stringeva con forza! Ricordo i suoi occhi iniettati di sangue, il respiro affannoso, quelle mani che mi sembravano enormi. Strillavo con tutto il fiato che avevo in petto sperando che mio fratello mi sentisse, invocavo il suo nome e mi dimenavo come una bambina di quattro anni può fare, tentando di morderlo.
Mai come in questo momento i ricordi diventano reali... Mi sento gelida e tremante. Sento ancora l’orrore delle sue mani sudati sulla mia pelle, mi sembra di vedere i suoi occhi arrossati e gonfi, le sue labbra che accennavano a un sorriso terribilmente agghiacciante.
Era una giornata piena di sole e il caldo del sud, si sa, è soffocante; si respirava odore di fieno e di terra bruciata. Vicino c’era il fiume e si sentiva scorrere l'acqua. Avevo sempre amato quei posti e avevo amato anche mio cugino: giocava sempre con me e con i miei fratelli anche se era più grande. Aveva diciotto anni. Ma in quel momento mi sembrò il diavolo, quello che figurava sempre nei racconti della nonna. Non era più il compagno dei miei giochi, era l'uomo nero.
Gridavo e gridavo, per la paura e per il dolore. Allora lui mi dava dei forti schiaffi per farmi tacere, ma io gridavo ancora più forte.
Sento ancora il viso bagnato dalle lacrime e il sapore del sangue in bocca: con uno schiaffo mi aveva spaccato anche il labbro e perdevo sangue dal naso.
Poi, all’improvviso, mi spinse con violenza e si mise a correre. Caddi a terra… e da quel momento non ricordo più nulla, quasi una mano pietosa spense l’interruttore della mia coscienza.
Dai tristi e quasi inesistenti discorsi dei miei genitori, ho saputo che erano arrivati mio fratello e mia mamma. Mio cugino non aveva avuto il tempo per completare lo stupro, se avesse avuto qualche minuto in più forse mi avrebbe ucciso, visto il modo in cui mi ha seviziato.
Quando penso alla mia mamma ho una nuova consapevolezza, adesso che anche io ricopro quel meraviglioso ruolo che la natura ci dona, capisco il dolore e la rabbia che si è portata dentro e la lotta che ha dovuto fare per vedere quel criminale condannato.… non ne ha mai voluto parlare. Quella storia ha cambiato per sempre le nostre vite. Mio fratello ne rimase traumatizzato: mi voleva bene e si sentiva responsabile per avermi lasciata sola. Era andato in cerca di ranocchie nel fiume (ce l’aveva mandato la bestia) e, oltre al senso di colpa dovette subire il rimprovero di mamma è papà...
Quel giorno terminò la sua spensierata fanciullezza: dentro, gli è sempre rimasto un amaro senso di impotenza e da quel giorno ha sempre cercato di proteggermi.
Rimango senza parole, il suo racconto crudo e doloroso mi ha sconvolta, riesco solo a dire: “ Grazie cara per la tua triste testimonianza”
Lei mi stringe forte a se, ricambio il suo abbraccio con grande affetto!
Antonia Caprella